“Quando non ci sarò più, tutti diranno meno male”, dichiara Napoleone Bonaparte durante il suo esilio sull’isola di Sant’Elena nell’Oceano Atlantico. Vi morirà il 5 maggio 1821. Duecento anni dopo, i francesi hanno un rapporto complesso e contrastante con questo personaggio storico di cui Chateaubriand diceva: “Vivo, ha segnato il mondo, morto lo possiede”.



Critiche e glorificazioni sono sempre state acute, in Francia e all’estero, variando secondo i tempi e il modo di intendere la società: genio o tiranno, becchino della Rivoluzione o politico illuminato, schiavista o liberatore dei popoli. Scegliendo di commemorare il bicentenario della morte dell’imperatore poche settimane fa, nonostante le divisioni che tale ricorrenza suscita, Emmanuel Macron ha certamente voluto incarnare, in un periodo di crisi e ad un anno dalle elezioni presidenziali, una certa visione della Francia, ideale di grandezza e unità portato da un’ambizione collettiva che sembra mancare oggi in una società molto divisa.



Chiamando nel suo discorso commemorativo a “guardare in faccia e nel suo insieme la nostra storia”, ha denunciato i punti oscuri dell’eredità dell’imperatore e in particolare il ripristino della schiavitù e il costo umano delle sue guerre, ricordando il suo “desiderio di non cedere nulla a coloro che intendono cancellare il passato perché non corrisponde alla loro idea del presente”. “Noi assumiamo tutto” ha insistito. Celebrando le sue qualità di “costruttore e legislatore” e di difensore della sovranità nazionale, evocando i principi del riformismo e della meritocrazia incarnati da Napoleone, Macron ha pronunciato più di un discorso, un’ambizione politica.



Napoleone incarna il cambiamento che la società chiedeva dopo la Rivoluzione. Nel 1799, mentre il paese è devastato e l’eredità rivoluzionaria è minacciata, è visto come l’uomo provvidenziale che in poco più di 10 anni instaurerà le basi dello Stato moderno sulle quali la Francia fa ancora affidamento oggi. Grazie a una serie di riforme, conferma lo spirito della Rivoluzione e lo iscrive nel tempo. Amministrazione, giustizia, educazione, cultura, urbanistica, Napoleone ha cambiato completamente il volto della Francia. L’amministrazione è centralizzata, vengono creati i grandi organi statali. Queste solide istituzioni ravvivano il Paese e allontanano il rischio di un ritorno all’Ancien Régime. Nel 1804, con la creazione del Codice civile, Napoleone ripensa l’intera organizzazione familiare: matrimonio, proprietà, eredità. Consacra il principio dell’uguaglianza di tutti davanti alla legge, l’abolizione della feudalità, la libertà di culto. L’organizzazione della città è ridisegnata, l’illuminazione urbana, la raccolta dei rifiuti, i numeri civici sono sviluppati per rispondere a delle esigenze di funzionalità. Napoleone pensa in grande, ripara le infrastrutture, costruisce strade per facilitare i viaggi e il commercio. Una politica di grandi opere per riconciliare i francesi e ricostruire la società.

Nato in Corsica, lontano da Parigi e dal potere, incarna la meritocrazia. I suoi generali e marescialli provengono dalle classi inferiori. Promuove l’ascensione sociale enfatizzando la formazione e l’istruzione. Crea scuole superiori e università per formare i dirigenti della nazione. Napoleone è un leader che pratica una gestione positiva: recluta i migliori senza distinzione di provenienza, li sa evidenziare, sostenere e premiare. Pratica la politica dell’esempio, vive tra i suoi uomini, spiega le strategie scelte, li incoraggia e condivide il rischio combattendo in prima linea sul campo di battaglia. Il suo innato talento di leadership, il rapporto privilegiato che manterrà con i suoi soldati e la lealtà che dimostreranno nei suoi confronti contribuiranno alla creazione della sua leggenda.

Formidabile comunicatore, maestro di propaganda, crede che il saper fare sia fondamentale quanto farlo conoscere per fare la storia e conquistare la posterità che lo ossessiona tanto. Per creare la sua immagine, scrive i suoi discorsi e non esita a riportare lui stesso le sue vittorie sulla stampa, padroneggiando l’arte del racconto, soppesando ogni parola e ogni virgola. Così racconta la battaglia di Arcole del 1796: “Bonaparte vola come la luce e colpisce come un fulmine… È ovunque, vede tutto”. Sa come raccontare i suoi successi, far sognare le persone con le sue battaglie lontane.

Crea la sua leggenda anche attraverso l’immagine di cui ha compreso il potere. Dopo ogni battaglia, per ogni grande evento del suo regno, ordina un dipinto, ne dirige la produzione in modo da veicolare i messaggi giusti, riscrivendo anche la storia se necessario. Così mentre non riesce ad attraversare il ponte di Arcole e cade nelle paludi dove viene salvato dai suoi uomini, il dipinto del pittore Gros che illustra l’episodio lo rappresenta alla guida dell’esercito, sul ponte, bandiera a mano, lo sguardo rivolto all’indietro come era rappresentata all’epoca la dea della storia. Durante il passaggio del Col du Saint Bernard durante la seconda campagna d’Italia, Napoleone attraverserà a dorso di mulo. Il pittore David lo rappresenterà su un maestoso cavallo bianco, trionfante. Il suo capolavoro lo realizzerà durante il suo esilio a Sant’Elena, dettando se stesso e per la posterità la storia del suo regno.

Moderno durante la sua vita pur rimanendo un uomo del suo tempo, Napoleone ha trionfato sulla morte vincendo la battaglia della memoria, come un’ultima vittoria finale sugli inglesi convinti di condannarlo all’oblio mandandolo in esilio. L’obiettivo non è di glorificare Napoleone ma riconoscere che appartiene al patrimonio nazionale, che incarna attraverso il suo spirito e la sua eredità una storia nella quale i francesi, anche se divisi, si riconoscono e si rivendicano. “Amiamo Napoleone perché la sua vita ha il gusto del possibile, perché è un invito a rischiare” ha detto Macron. Scrivendo nel 1768 “Uno guida il popolo solo mostrandogli un futuro: un capo è un mercante di speranze”, Napoleone gli ha forse risposto.

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