Una storia che aiuta a leggere e intravedere il proprio tempo tramite l’artificio letterario. Tra le righe si intravedono esperienze comuni a molti in questo ultimo periodo: la pandemia, la perdita delle relazioni, le nuove frontiere del cibo di cui sempre più spesso si sente parlare, la progressiva perdita del senso del reale. Si tratta di George (Ares, 2022), il primo romanzo di Siobhan Nash-Marshall, docente di filosofia al Manhattanville College di New York. Un particolare, questo, non trascurabile. Il retroterra filosofico, infatti, si nasconde e si rivela con maestria tra le righe di tutta la trama, senza tuttavia prenderne il sopravvento.
La storia di George è quella di una vita costretta in una nuovanormalità, sotto una cappa di fumo che si avviluppa intorno ai corpi e alle anime, riducendo l’uomo ad una sola dimensione. Una nuova vita, da condurre in nome del benecomune (nel testo originario la scrittrice utilizza common goo, che foneticamente rimanda al common good, ma che esprime qualcosa di viscido, appiccicoso). Una vita che ha perduto il sapore della realtà. Questo emerge dai capitoli di apertura del romanzo: l’ambientazione è una casa, molto grande. George – uomo di grande successo che incappa, ad un certo punto, in un Drago – si occupa di portare il cibo ai familiari; cibo che arriva in anonime scatole grigie. Troppo cibo, ma soprattutto cattivo! I fratelli e le sorelle sono stravaccati sui divani, davanti allo schermo; il padre e la madre paiono aver perso la loro vitalità è freschezza. Solo George, misteriosamente, pare avvertire che qualcosa non va; che qualcosa di non-umano si sta impadronendo delle persone a lui vicine (e forse non solo): che si sta perdendo la realtà.
“I loro sguardi (dei suoi genitori, ndr) spenti sullo schermo della Sala Verde lo inducevano a chiedere a sé stesso se i ricordi di suo padre che suonava il piano, o colpiva una palla da baseball, e di sua madre che inscatolava pomodori o cuciva un vestito fossero solo sogni. Era davvero esistito un tempo in cui c’erano musica nell’aria, odore di cibo fresco e la luce che filtrava dalle finestre aperte? L’altalena di pneumatici sulla vecchia quercia era davvero ancora lì? E i ciliegi? La ghiaia, i tigli, la griglia, la fossa per la tosatura, il forno per il pane, i campi e i campi pieni di vigneti?”
Queste le domande che George si pone, mentre cerca di ripararsi da quel fumo che aleggia per tutto il romanzo, e da cui – unico tra i personaggi – cerca di ripararsi tramite una mascherina. E non è possibile nemmeno aprire le finestre – sì da vincerlo quel fumo – per guardare e gustare la realtà. Fuori, infatti, c’è il Drago. Finestre chiuse e ben serrate. Oscurità. E fumo invisibile ai più. La casa come la spelonca di platonica memoria, in cui i prigionieri non sono in grado di distinguere ciò che è ombra da ciò che è reale. Sono abituati da ormai troppo tempo alle voci sullo schermo: fuori c’è il veleno, occorre chiudersi in casa.
Ma George è colui che – misteriosamente – viene liberato e tutto il romanzo racconta della sua battaglia contro il Drago. Della sua battaglia per la Verità. Per la Liberazione. Per il Bene Comune. I suoi familiari – prigionieri – non comprendono. Egli ne è sicuro: a dispetto di quello che essi credono, il Drago non entrerà dalle finestre. È già entrato. È già lì. Ha già sputato il suo fuoco, e il fumo ne è testimonianza. Urge uscire, rischiare, sfidare la nuovanormalità e i suoi panoptici controllori; trovare – per quanto tempo? – un’altra sistemazione, fosse anche solitaria. Funziona così, per chi è affamato di realtà. E George lo è!
Questo è l’inizio, straniante, del romanzo.
L’uscita dalla casa-caverna è un inno alla realtà: alla natura armonicamente intesa, alla musica: “E c’erano solo lui, i vigneti che si estendevano intorno a lui, il suo respiro, il battito del suo cuore, lo scricchiolio dei suoi piedi sulla neve, e il violino: la grave, implorante Laure” (la “Loure” della Partita n. 3 di J. S. Bach).
E la musica, in particolare la figura misteriosa del violinista, accompagnerà George e i lettori per tutto il romanzo. Un romanzo avventuroso, mai statico. George, del resto, è un personaggio dinamico. “Muoviti, muoviti e basta!”: è questo il monito che ripete e ripete a sé stesso, per non farsi bloccare dai pensieri che gli impedirebbero di sentire quella musica che tanto lo attrae e lo mantiene in vita. Ed è proprio il violinista – con la sua musica e la sua voce – a guidare George verso l’esterno della caverna, nella tenuta del nonno.
Lì accade un nuovo inizio: attraverso una serie di incontri, relazioni e amicizie George comincia un cammino personale di rinascita. Un cammino verso la luce, senza censurare l’oscurità. Un cammino costellato di indizi, segni, tracce, che contribuiscono davvero a mettere George in movimento. Un movimento autentico, che trae origine da un “desiderio mozzafiato”, riscoperto e rivissuto – gradualmente, ma esplosivo – nella propria vita: desiderio di Vita e Libertà. Un desiderio che George non riesce a nascondere, a tenere per sé. Che ne farà George? E i suoi familiari sono destinati al fumo?
Un romanzo appassionante, di agile ma profonda lettura. Un sapiente intreccio di presente e passato, immersioni nella realtà e rimandi filosofici ed evangelici. Un libro da gustare e su cui tornare più volte, sì da coglierne sempre nuove sfumature. Un libro per tentare di districarsi nel mezzo del fumo che può colpire sempre, anche ora, qualsiasi vita. Il romanzo della Marshall aiuta, in questo senso, a leggere sé stessi e la realtà particolare del nostro tempo. Un inno alla vita, al reale, alle sue infinitesimali e meravigliose particolarità. Attendiamo pertanto, lieti, il prosieguo delle avventure di George.
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