Ognuno ha il suo film di Natale preferito. Quello da vedere ogni volta e senza il quale Natale non è. I miei figli prediligono The Nightmare Before Christmas (1993). Si riuniscono in tribù e ne recitano tutti i dialoghi e ne cantano a squarciagola tutte le canzoni. Come succedeva ai miei tempi con The Rocky Horror Picture Show (1975). Allora, però, toccava anche ballare, ma era la performance che storicamente si merita. Da un po’ di tempo a questa parte, quando Natale si avvicina, mi piace rivedere Smoke (1995), scritto da Paul Auster e co-diretto assieme a Wayne Wang, con Harvey Keitel, William Hurt, Forest Whitaker, Stockard Channing e Ashley Judd, premiato con l’Orso d’Argento al Festival di Berlino.



Non ne racconterò la trama, per non spoilerare, e per ora accennerò soltanto alla mania di uno dei protagonisti, un tabaccaio interpretato da Harvey Keitel. Il tizio ha avuto una intuizione straordinaria (quanto vorrei averla avuta io!): da anni, ogni mattina, alla stessa ora, con la medesima inquadratura, fotografa l’incrocio di fronte al suo negozio. A un primo sguardo, le fotografie sembrano sempre la stessa. A uno sguardo più attento, ognuna ha una sua singolarità. Lo scorcio di un passante, di un’auto, una cartaccia per terra, una finestra socchiusa, una nuvola. La storia, peraltro, si svolge alla fine del XX secolo e la macchina fotografica utilizza ancora la pellicola sensibile, il supporto chimico. Stiamo parlando di fotografia analogica: per tutto il percorso realizzativo, l’oggetto riprodotto (il soggetto fotografato) conserva una analogia formale con l’immagine originale. Tuttavia, custodisce anche una radicale autonomia. L’immagine che prenderà forma sulla carta avrà spesso uno scarto rispetto a ciò che l’occhio ha fissato attraverso l’obiettivo. In altri termini, l’immagine “esiste” fin da subito (è il frutto di due semplici elementi: un foro da cui entra la luce e un materiale capace di reagire all’evento), mostrerà talvolta un di più non colto in precedenza e, soprattutto, potrà essere vista solo a fine percorso. Nella fotografia digitale, invece, la macchina fotografica scompone la luce e la converte in segnali elettrici, a loro volta convertiti in segnali numerici e gestiti da un computer interno che li archivia in una memory card. In altre parole, l’immagine “non esiste” finché il segnale non viene riconvertito da qualche device che sa leggere il codice con cui è avvenuta la digitalizzazione, ma può essere visionata subito dopo lo scatto e quindi consentire la preventiva cancellazione dell’aleatorio. Nel digitale manca l’ambiguità dell’analogico e c’è meno mistero, meraviglia, stupore. Meno realtà.



Questa digressione ha un senso perché sottolinea, rende evidente, la correlazione (per quanto formale, analogica e contradditoria) tra realtà e rappresentazione. Perché la realtà possa impattarci, è necessaria un’attinenza, un nesso evidente (lieve e momentaneo, magari) tra lei e noi; e un residuo, una eccentricità che ci provochi.

La trama del film incrocia vari personaggi. Il su menzionato tabaccaio fotografo, uno scrittore in panne, un ragazzino molto intelligente (e quindi un po’ borderline), un benzinaio disperato, una madre affranta, una figlia decisamente fuori dai coppi, una nonna che non vuole più sentirsi sola. Insieme, formano un cerchio e danno vita a un gioco d’interdipendenze reciproche in cui ognuno è la causa efficiente (non sempre consapevole) di una possibile soluzione positiva per l’altro. A aiuta B che aiuta C … che aiuta A.



Smoke ci ricorda come nella realtà (assai più complessa della sceneggiatura di un film) vi sia sempre qualcosa che ci può ridestare, risvegliando in noi il desiderio, vale a dire la materia di cui è fatta la vita. La realtà in quanto tale ha sempre una potenzialità provocante. L’altro, chiunque – un ladruncolo sfortunato incontrato per caso, un collaboratore che è più di ciò che appare, un invitato che non è proprio colui ti aspetti – può mettere in moto quella debole ma efficace valanga che scombussola le nostre banali certezze. Come accade nella fotografia. E come ci auguriamo succeda questo Natale e nell’anno che verrà.