Lo scorso febbraio il Parlamento europeo ha istituito il ruolo di ambasciatore Lgbt presso l’assemblea comunitaria. In Italia la legge Zan è morta, ma in tutta Europa la causa Lgbt è viva e vegeta ed è diventata Lgbtqia: a lesbiche, gay, bisessuali e transgender si sono aggiunti coloro che  si stanno ancora domandando se sono uomini o donne (questioning); quelli che si sentono in parte uomini ed in parte donne (intersessuali) ed i non interessati al sesso (asessuali).



Tutti costoro, quindi, hanno un “ambasciatore” nell’europarlamento, un tal Riccardo Simonetti, fashion-blogger italo-tedesco che di recente ha inscenato una parodia della Sacra Famiglia in chiave gay, nella quale lui stesso impersonava una Vergine Maria transessuale, con tanto di barba e bambino al seno: ovviamente, sotto l’egida delle istituzioni europee che tutelano le minoranze ma ignorano i cristiani e la loro sensibilità.



Ma ignorarli non basta: occorre metterli a tacere perché se augurano Buon Natale o citano la signora Maria Rossi, possono offendere qualche ateo o qualcuno di un’altra religione: Natale e Maria richiamano troppo sfacciatamente la fede cristiana, suvvia!

E così Helena Dassi, commissaria europea all’Uguaglianza, ha introdotto le “Linee guida per la comunicazione inclusiva” per  raccomandare ai dipendenti dell’Unione Europea un linguaggio non discriminatorio, in cui tutti possano riconoscersi: 32 pagine arricchite da numerosi esempi, tra i quali brillano gli inviti ad evitare nomi troppo legati ad una religione o frasi del tipo: “le feste di Natale possono essere stressanti”, facilmente sostituibile con: “il periodo delle feste può essere stressante”.



Questa volta, finalmente, sono scoppiate le polemiche perché molti hanno avvertito che la misura era colma, e poi non si poteva lasciare il monopolio della protesta a populisti e sovranisti.

La Dassi ha ritirato le Linee guida, precisando tuttavia che “lavorerà per migliorarle”.

E pensare che l’Unione Europea era partita sotto ben altra stella. Anzi, sotto le dodici stelle dorate su sfondo blu della sua bandiera: dodici stelle disposte a corona come quella della Madonna citata nel Libro dell’Apocalisse.

L’8 dicembre 1955, festa dell’Immacolata, era stata ufficialmente presentata al Comitato dei ministri a Parigi. Cos’è rimasto di quello spirito?

Ancora il 22 marzo 1988 Natalia Ginzburg, ebrea atea, scriveva per l’Unità un articolo sul crocefisso che merita, ancora oggi, di essere riletto.

“Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea di uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente.

La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. Vogliamo forse negare che ha cambiato il mondo? Sono quasi duemila anni che diciamo ‘prima di Cristo’ e ‘dopo Cristo’. O vogliamo smettere di dire così? Il crocifisso è simbolo del dolore umano. La corona di spine, i chiodi evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo. Per i cattolici, Gesù Cristo è il Figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e del prossimo.

Chi è ateo cancella l’idea di Dio, ma conserva l’idea del prossimo. Si dirà che molti sono stati venduti, traditi e martoriati per la propria fede, per il prossimo, per le generazioni future, e di loro sui muri delle scuole non c’è immagine. È vero, ma il crocifisso li rappresenta tutti. Come mai li rappresenta tutti? Perché prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei, neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà tra gli uomini. Gesù Cristo ha portato la croce. A tutti noi è accaduto di portare sulle spalle il peso di una grande sventura. A questa sventura diamo il nome di croce, anche se non siamo cattolici, perché troppo forte e da troppi secoli è impressa l’idea della croce nel nostro pensiero. Alcune parole di Cristo le pensiamo sempre, e possiamo essere laici, atei o quello che si vuole, ma fluttuano sempre nel nostro pensiero ugualmente. Ha detto ‘ama il prossimo come te stesso’. Erano parole già scritte nell’Antico Testamento, ma sono diventate il fondamento della rivoluzione cristiana. Sono la chiave di tutto. Il crocifisso fa parte della storia del mondo.”

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI