Natanaele si era unito ad altri nove lebbrosi come lui, che stavano dirigendosi verso Gerusalemme per chiedere l’elemosina ai bordi della strada, suonando il campanello per avvertire della loro presenza. A un incrocio, presso un pozzo, incontrano “quel Gesù di cui molti parlavano”, seguito da una gran folla, e invocano ad alta voce la guarigione. L’uomo si rivolge loro “con poche e semplici parole”, dicendo: “Andate a presentarvi ai sacerdoti”. Non ce ne sarà bisogno. Ripreso il cammino, un vento forte li colpisce alle spalle, gettandoli a terra: guariscono all’istante. Sono tutti stupiti e increduli. La lebbra è sparita, ma il solo Natanaele vorrà andare a cercare il loro benefattore, chiedendosi come sia potuto accadere quel prodigio. Per il lebbroso guarito l’unica risposta possibile è che solamente Dio, con il volto e il corpo di Gesù, “aveva quel potere sul vento e sulla loro malattia”. E lui e i suoi nove compagni “lo avevano visto, lo avevano sentito parlare”. Per questo era stato colto da un desiderio irresistibile di rivedere quell’uomo, “proprio come un bambino corre per gettarsi tra le braccia della madre”. Intuiva che “ciò che desiderava, più ancora che ringraziare per il dono ricevuto, era proprio l’abbraccio di Gesù”. Giunto davanti a lui, non riesce a parlare, ma “era certo che conoscesse il desiderio del suo cuore”.



È il Nazareno a rivolgersi al lebbroso risanato: “Vai in pace, la tua fede ti ha salvato”. Il miracolato capisce che “non era un congedo, non era un saluto”, ma “un invito ad andare nel mondo con la pace di chi confida nel Signore, che guarisce le ferite del corpo e più ancora quelle dell’anima”. Da quel momento è “sicuro che non avrebbe lasciato più quell’uomo”.



Natanaele, che viveva solitario in una grotta e fino alla guarigione si dilettava, “con le mani risparmiate dalla malattia”, ad intagliare rami di ulivo selvatico per ricavarne forme perfette, di cui era molto geloso, è un personaggio ispirato al racconto evangelico della guarigione dei dieci lebbrosi (Lc 17, 11-19). Gli ha dato un nome e una storia Guido Mezzera, autore di quello che potremmo definire un fantasy biblico: L’imprevisto di uno sguardo atteso (Cantagalli, 2024). Il libro descrive come hanno reagito, trovandosi di fronte agli straordinari miracoli e alla predicazione di Gesù, alcuni suoi contemporanei (figure totalmente frutto di fantasia, o verosimili oppure ancora presenti nei Vangeli ma di cui si sa poco o nulla): oltre al lebbroso guarito – egli stesso protagonista di un miracolo – entriamo nella vita di un centurione, di un servo, dell’amico del cieco nato, di un locandiere, di coloro che hanno fatto scendere il paralitico dal tetto e altri.



Al centro di queste pagine, spiega l’autore, troviamo cioè “persone che hanno avuto l’avventura di essere testimoni di alcuni miracoli di Gesù che i Vangeli ci hanno raccontato”. Si tratta naturalmente di una serie di “storie di fantasia, che descrivono situazioni, avvenimenti, incontri che sarebbero potuti accadere nella realtà e in quel contesto”. Ecco, quindi, il centurione Marco Tullio; discendente di una famiglia patrizia aveva il delicato compito, travestito per non farsi riconoscere, di tenere d’occhio chi potesse costituire un pericolo per il potere di Roma, come Giovanni il Battista; per questo assiste al battesimo di Cristo sulle rive del Giordano e ne rimane colpito. Il servo Dankor, “ultimo di sette figli, nato in Egitto e partito dalla sua terra quando aveva soltanto dieci anni”, è tra coloro (sempre nella ricostruzione di fantasia di Mezzera) che provvedono alla tavola alle nozze di Cana riempiendo, su richiesta di Cristo, le giare d’acqua: sarà il primo testimone del miracolo che la trasforma in vino. “Non sapeva chi fosse quell’uomo, ma aveva visto quello che aveva fatto”, scrive Riccardo Bonacina nella prefazione. Per questo “decide di seguire Gesù e i suoi compagni”. Dankor non pretende una spiegazione di quanto accaduto, si limita semplicemente a chiedere se può andare con loro.

Un’altra storia è quella di Zaccaria, che possedeva una bottega/locanda “famosa per le frittelle al miele e per le torte impastate con olio e aromatizzate con menta, cannella, cumino”. Molto ben frequentata e apprezzata, si trovava lungo la strada per Betania, poco distante dalla casa di Lazzaro e delle sue due sorelle, Marta e Maria, tutti e tre amici intimi di Gesù”, che più volte “era stato ospite a casa loro”. L’oste era venuto a conoscenza, inizialmente scettico, della straordinaria risurrezione dell’amico, ormai chiuso nel sepolcro da giorni, operata dal Salvatore. Folgorato da quell’evento, il giorno dopo Zaccaria va a Betania deciso ad incontrare Gesù e lì – in mezzo a un gruppo di persone pronte a mettersi in cammino – incrocia il suo sguardo penetrante. “Non lo aveva mai visto in volto ma era certo che fosse proprio lui, perché quell’uomo lo stava guardando in un modo che nessuno aveva mai fatto”. E avviene un miracolo di non minor valore rispetto alla risurrezione di un corpo corrotto dalla malattia; avviene il miracolo della liberazione di un’anima, “schiudendola alla bellezza della verità” e colmandola di un Amore infinito, perché “in quell’istante Zaccaria aveva avuto la certezza che Gesù sapesse, che Gesù conoscesse nel profondo la sua miseria, la sua paura, e il suo dolore”.

La seconda parte del libro, ugualmente coinvolgente, è un unico lungo racconto che intreccia le vicende di tutti i protagonisti dopo la risurrezione di Cristo. Così il centurione Marco Tullio, che non ha mai avuto la possibilità di trovarsi di fronte a Gesù faccia a faccia e di parlargli, quando capisce veramente chi Egli sia è troppo tardi, perché è già asceso al Cielo. L’apostolo Giovanni lo conforta. “Caro e amato amico”, gli dice, “Dio ha voluto che il desiderio che riempie il tuo cuore non si possa ancora soddisfare: oggi stesso il Figlio è tornato al Padre, per non lasciarci mai più”. E aggiunge: “Spendi la tua vita dando testimonianza della verità che è Cristo morto e risorto, nell’attesa di poterlo incontrare un giorno”, al termine della nostra esistenza terrena. “Ma anche nella certezza che Gesùù vive in noi e in tutto ciò che vive attorno a noi. Questo è ciò che ci è accaduto, questo è stato l’incontro con Gesù […] Quel giorno c’eri anche tu, quel giorno Gesù ti ha guardato e ti ha amato. Anche a te è accaduto l’imprevisto di uno sguardo, atteso”. Per Bonacina quello di Mezzera è “un viaggio attorno ai miracoli di Gesù e insieme un viaggio dentro l’animo umano”. Ma se quei personaggi ci rendono evidente che solo Cristo compie il desiderio dell’uomo, poniamoci la domanda: come ci saremmo comportati al loro posto?

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI