La parola mistero deriva dal greco miein che significa chiudere. Nell’antichità i misteri erano i riti di iniziazione interdetti ai profani in cui si accedeva al sacro e al divino, dai quali però si rimaneva esclusi come quando si è di fronte ad una porta chiusa. Che cosa chiude il mistero? Chiude le labbra e gli occhi, perché non ho parole per descrivere il sacro così come non vedo nulla di chiaro: la realtà rimane sempre al di là della mia capacità di ricezione. La sostanza di cui è fatta la cellula e quindi tutta la vita nelle sue svariate forme, è assimilabile a questo concetto.



Siamo di fronte a qualcosa di eccezionale, ad una profondità impercettibile e immisurabile. Quando osservo le Dolomiti, ne vedo le cime e posso calcolarne l’altezza sul livello del mare; quando metto la testa nel buco di un pozzo, posso vederne il fondo e misurarne la profondità, ma quando osservo il ciclo degli acidi tricarbossilici di Hans Krebs al centro del metabolismo cellulare, non ne vedo l’inizio né la fine perché esso è circolare e tanto meno ne misuro le quantità, perché variano di continuo nelle 24 ore, a seconda delle decisioni che prende la vita.



Le molecole della cellula non si fermano mai, sono sempre intermedi di reazioni chimiche, che provengono da una parte e che si trasformano in un’altra direzione. Di continuo e senza sbagliare. Non posso mai partire da uno start perché la vita è un flusso continuo, dalla nascita alla morte dell’organismo. E in questo flusso gli atomi cambiano posizione, con ordine e finalità, perché la molecola di partenza viene demolita per costruirne una nuova, riaggregandosi nello spazio secondo un nuovo archetipo, grazie al contributo essenziale degli enzimi, che sono altrettante vere e proprie cattedrali di atomi, indipendenti e nel contempo indispensabili per ogni processo di trasformazione.



Gli atomi del mio corpo si rinnovano diverse volte nell’arco della vita, subendo l’integrazione che proviene da quello che mangio ogni giorno e avviando la degradazione attraverso le feci e l’urina. Il processo metabolico è continuo e inarrestabile, di giorno e di notte, seduto o in movimento, in perfetto equilibrio tra quello che viene ricreato e quello che viene demolito. Io sono un flusso di atomi e di energia.

Eppure rimango me stesso. C’è un’identità profonda della persona che permane, non nonostante, ma attraverso questo dinamismo di atomi, di molecole e di energia. È la mia identità profonda e connessa la regìa intima di tutte le cose che accadono nel mio corpo: è infatti il contesto che determina la funzione degli atomi e non viceversa.

Ogni atomo che entra nella cellula attraverso l’alimentazione segue un destino diverso non per una vocazione intrinseca, ma per un incarico che gli viene affidato dall’esterno. Per esempio, il ferro, se si trova nell’emoglobina, in forma chelata, nel gruppo eme, assorbe l’ossigeno a livello degli alveoli polmonari e lo consegna ai mitocondri delle cellule periferiche di tutti gli organi interni; se invece si trova nel citoplasma delle cellule, funziona come coenzima per il trasporto degli elettroni, ovvero svolge un’altra funzione. Il suo fabbisogno quotidiano è appena di 1 mg al giorno nell’uomo e di 2 nella donna; se ne siamo carenti ce ne accorgiamo facilmente; se è in eccesso, però, diventa tossico. Quindi il suo livello è attenzionato di continuo con sistemi complessi che lo aumentano o che lo limitano. Ancora, il colesterolo, la temuta molecola che sclerotizza le arterie, ma che ci riempie di soddisfazione a tavola, una volta che è entrato nella cellula può essere indirizzato a costruire la membrana citoplasmatica così come può essere trasformato in un ormone delle corticali surrenali oppure in un ormone di tipo sessuale. È il contesto che decide il suo utilizzo. Questo discorso si può applicare a tutti i composti biologici del nostro corpo. Facciamo altri esempi per capire bene il miracolo della vita; il gene per fabbricare l’insulina, l’ormone che abbassa la glicemia, è inattivo nelle cellule del cuore, ma è attivo nelle cellule beta delle isole del Langherhans nel pancreas; il gene per la rodopsina, la proteina implicata nella visione, è inattivo negli epatociti ma attivo nei coni e nei bastoncelli della retina.

Perché accade questo? C’è chi parla di GPS (Carroll), chi di positional information (Wolpert) o ancora chi di sociologie cellulaire (Chandebois): tutte espressioni filosofiche per indicare una semantica inspiegabilmente presente e operante all’interno dell’essere vivente, fatta di parole che comunicano messaggi cifrati. Non ho competenze né per contare tutti gli atomi del mio corpo né per seguirne i processi di trasformazione delle reazioni anaboliche e di quelle cataboliche. Una cosa è certa: il flusso che sono eccede le mie capacità di comprensione. La rete metabolica è un mistero; ogni composto chimico è il prodotto di una reazione precedente e contemporaneamente reagente di una successiva, per cui non esiste un inizio o una fine. Il Ciclo di Krebs ne è un paradigma formidabile: come accade in una ruota, ogni raggio può essere il primo, e ciascuno di essi è una fase intermedia tra il precedente e il successivo. Non esiste il singolo reagente come tale, all’interno del citoplasma, così come non è immaginabile un raggio isolato nella ruota: ogni reagente è possibile solo perché appartiene ad una ruota che gira di continuo: è generato e, immediatamente dopo, scompare e genera qualcos’altro.

La vita è sempre al di là dei suoi ingredienti. Per questo è un mistero; non per nostra ignoranza, che un domani verrà colmata, ma per sua natura. Ma l’aspetto più misterioso di tutta questa vicenda, e concludo, è il fatto che io trasmetto questo flusso ad un nuovo essere vivente, mio figlio, che faccio esistere attraverso una unione di tipo sessuale con una donna. Mio figlio prende i miei atomi, li mescola con quelli della mamma; aggiunge quelli nuovi che arrivano attraverso l’alimentazione e diventa una nuova identità biologica ed esistenziale, che prima non esisteva; diversa da me, dalla mamma e dai suoi fratelli. Io morirò, ma i miei atomi continueranno a vivere in mio figlio e nelle nuove creature che prenderanno forma a partire dalla mia cenere degradata. E diventeranno nuove identità, all’interno di nuovi cicli sorprendenti.

Questo è un mistero grande. Non è scomponibile in tappe; non è riducibile agli atomi; non è traducibile da una legge; non è modificabile nemmeno in un dettaglio, perché tutto è preciso e indispensabile; non è generabile dal nulla: semplicemente è. Dove collocare le mutazioni casuali e la selezione naturale con tutto questo? Credo che, alla luce delle conoscenze moderne, la teoria dell’evoluzione risulti sempre meno illuminante sull’origine delle forme.

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