Nasciamo tutti da una madre. Da carne a carne. Riteniamo che il sangue sia il legame principale (madre-padre-figlio): la discendenza del sangue, la priorità del sangue, la gerarchia del sangue (sanguis, in latino, è principio di vita). Coloro che danno principio alla tua vita sono coloro a cui sarai, per affetto e per legge, più legato, più stretto.
Poi, però, arriva Gesù Cristo, più di duemila anni fa, e, senza violenza (importante: senza violenza), con la sola determinazione delle proprie parole e delle proprie azioni, sconfessa completamente l’ordine su cui si è costruita, e tuttora si costruisce, la civiltà umana. Dice: il sangue non conta. Non sei figlio, non sei fratello, non sei madre, non sei padre, perché lo dicono la biologia, l’eredità, la somiglianza dei volti, la prossimità della casa. L’amore più alto è quello che prescinde dalla legittimazione del sangue.
Fino ad allora nessuno, e dopo di lui nessuno più, come scrive Ida Magli, nel suo importante libro Gesù di Nazaret (Bur, 2004), “ha mai tentato di cambiare totalmente il modello culturale, perché di solito il genio si muove in un solo ambito della cultura e della società: quello artistico, quello politico, quello etico. La differenza sostanziale che c’è fra un qualunque ‘genio’ e Gesù di Nazaret è che quest’uomo ha rotto totalmente il modello culturale nel quale si è trovato a vivere, colpendo e distruggendo, con una logica stringente, i vari nessi che lo tenevano insieme e che ne facevano un ‘modello’ così fortemente concluso in se stesso che ha potuto resistere alle più diverse traversie della storia”.
La civiltà umana si è sempre basata sulla filiazione del sangue. Tuttora la madre e il padre, non l’amico, sono responsabili della custodia e della tutela del figlio finché è minore. Se uno vive lontano, parla della sua terra nativa come “madrepatria”. Quando ascoltiamo i tremendi omicidi che riguardano ragazze o ragazzi, ci diciamo: chissà quanta pena proveranno i loro genitori. Anche negli animali è così: quando vediamo dei gattini, la mamma è sempre lì vicina a difenderli, e metterebbe se stessa davanti al pericolo se fossero attaccati. Lo chiamiamo istinto di preservazione della specie. E su questo istinto, che poi diventa bene, premura, accudimento, cura, educazione, come nostra madre e nostro padre ci insegnano, si è imperniata tuttora la civiltà umana, tanto è vero che diciamo che la famiglia è il nucleo base della società.
Ma è proprio questo “sangue”, questa eredità del sangue, che Gesù Cristo ha voluto mettere in crisi. A mani nude, senza violenza, senza cospirazioni, senza attentati, senza guerra. E ad una donna che gli esclamava “Beato il grembo che ti ha portato e le mammelle che hai succhiato”, Gesù risponde: “Beato piuttosto chi fa la volontà di nostro Signore”. Frase pesantissima, che non significa negare la madre, Maria, ma mettere tutti sullo stesso piano perché poi sarà l’amore a determinare chi ti è più vicino. L’amore più nitido è quello che non ha bisogno della conferma del sangue. Sei madre, padre, fratello, figlio, solo nell’atto del tuo amore. Fuori da questo amore – “la volontà di nostro Signore” – i legami parentali non contano nulla: diventano clan, cerchia di animali.
“L’amore di Maria per il figlio non doveva più passare attraverso la maternità, avere una motivazione nella maternità, ma fondarsi esclusivamente sul rapporto da persona a persona, identico a quello che lui le indica dicendole: guarda che tuo figlio è… quello là” (Ida Magli).
Fu capito in questo, Gesù? No. Infatti fu inchiodato, mani e piedi, sulla croce. Fu seguito in questo, Gesù? No. La negazione dell’eredità biologica, per unirsi solo nell’amore, era e resta un salto troppo forte a cui la civiltà umana non ha saputo e voluto ancora attuare.
Resta ancora il mistero di come abbia fatto, più di duemila anni fa, una persona – senza generare violenza e scontri dalle sue mani, anzi patendo su di sé tutte le conseguenze delle sue azioni – a pensare, concettualizzare e mettere in atto un “amore”, a prescindere dal sangue, che la specie animale e il genere umano non riescono ancora – io per primo che scrivo – a capire.
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