Nelle scorse settimane don Alberto Cozzi, teologo milanese, ha scritto l’introduzione a due opere: un commento teologico a un Anta dell’Armadio degli Argenti del Beato Angelico (in esposizione al Museo Diocesano di Milano) e l’introduzione al libro L’intensità dell’istante (Youcanprint, 2023) di don Simone Riva. Non me ne vorrà il pittore domenicano e, tantomeno il maestro ambrosiano, se faccio uso di qualche richiamo all’opera artistica per presentare l’agile libro di don Simone, raccolta dei suoi brevi interventi nella rubrica Fuori dal Coro all’interno del Giornale di Monza.



Con brevi pennellate, come nei quadretti del Beato Angelico, è possibile ritrovare il lento e fedele scorrere dell’intero anno liturgico: la festa di tutti i Santi, la commemorazione dei Defunti, l’Avvento, Giovanni il Battista e la Madonna, il Natale, la Pasqua, la Pentecoste… Eppure, come nell’opera dell’artista fanno capolino alcuni dettagli architettonici, stilistici o ornamentali della sua epoca che rendono la scena evangelica contemporanea, così nei brevi interventi di don Simone si possono cogliere alcuni “intensi istanti” di vita quotidiana: una mano finalmente alzata in classe, la domanda di un bambino, le lacrime di una donna in chiesa, gli ultimi istanti di vita di un anziano, persino un semplice semaforo rosso, solo per riportarne alcuni.



Nella realtà, che altrimenti suonerebbe sorda, è possibile così riconoscere “il riverbero di qualche infinito” (A. Baricco, citato a p. 98). Don Simone accompagna il lettore a scorgere, dietro alcuni segni discreti e delicatissimi (p. 124), l’opera dello Spirito di Dio, che, come racconta, da alcuni anni ha imparato a spiare (p. 117), mentre corteggia e mendica il sì dell’uomo (p. 50), senza paura della libertà, persino dei suoi sbagli e delle sue intemperanze (p. 36).

Lo Spirito di Cristo continua e continuerà a correre questo rischio sulla libertà perché sa di trovare nell’uomo un partner o, per usare le parole di don Simone, un alleato (pp. 14; 31), che solo Lui è in grado di saper “trattare” con cura: si tratta del cuore umano con le sue domande. Queste domande, a volte, sono scomode per la voragine e l’abisso incolmabile che spalancano (pp. 51; 57; 115), ingombranti (p. 19), eppure incancellabili, inestirpabili (p. 31), indomite e irriducibili (p. 41): con loro non si può barare (p. 111), perché sono il criterio del vero (p. 75) che Dio ha posto in ciascuno di noi.



Per questo Gesù, entrando in rapporto con i suoi amici, ha iniziato non dalle risposte, ma proprio da queste domande del cuore, come, ad esempio, ha fatto con la donna Samaritana: “Solo l’incontro con qualcuno che non ha paura del nostro vuoto – che, anzi, è assetato della nostra sete, che fa il tifo per il nostro bisogno, può farci scoprire la possibilità di un compimento” (p. 72).

Ad alcuni, però, il metodo di Dio appare troppo debole, perché “si consegna totalmente a noi in attesa che il cuore, pieno di desiderio, domandi la sua compagnia” (p. 60). Per queste persone – laici o religiosi che siano – è meglio riempire questa fragile attesa di Dio con programmi e progetti, con risposte che “spiegano la vita” (p. 72), secondo quella smania ansiosa e impaurita di dire la propria su tutto e a tutti (p. 99). Con questo passo, pure la vita cristiana non è esente dal rischio di venir ridotta a frasi fatte, slogan e concetti etici (pp. 62; 74), persino a “parole brandite come armi per affermare ciò che cristiano non è” (p. 75).

A chi è minimamente sospettoso nei confronti della disarmante passione di Dio per la libertà dell’uomo, purtroppo, prima o poi, si prospetta solo una reale alternativa: il potere violento dell’uomo sull’altro uomo (p. 18): “Se l’uomo dimentica o mette tra parentesi la propria inquietudine, diventa disponibile a qualsiasi potere” (p. 57).

Diventa quanto mai decisivo, soprattutto per i più giovani, incontrare non “adulti preoccupati di intasarli di risposte (della serie: “Ti spiego io la vita”)”, ma “innamorati delle loro domande” (p. 72). È questo amore per la domanda che rende l’adulto immedesimato col metodo di Dio, in attesa del sì, personale, di ogni singolo uomo. È qui che, personalmente, don Simone tocca il vertice, quando parla di quel “sussulto della solitudine” davanti a cui Dio mette ogni uomo che chiama alla vera felicità, cioè alla santità: Dio non ha paura di mettere l’uomo davanti al “sussulto della solitudine [che] arriva a dirci che il cammino è nostro, la scoperta è nostra, la vita attende noi” (p. 110).

Questa solitudine non è un vertice di isolamento, ma l’origine della vera e indistruttibile compagnia, quella che solo Dio può garantire all’uomo. È quella compagnia che fanno sperimentare i veri padri, che si esaltano come Dio delle tue domande (p. 80), non hanno paura dei tuoi errori e si godono con te l’avventura della ricerca (p. 81): non puntano su appelli alla fedeltà, ma rischiano tutta la propria attrattiva (p. 86) sulla tua libertà.

Nello scorrere dei “quadri” settimanali, non solo si intuisce, ma si percepisce che don Simone ha intercettato alcuni padri lungo il proprio cammino. La descrizione di uno di loro è a pagina 84: è troppo bella e la lascio al gusto del lettore. Come un figlio che ha trovato finalmente il padre, il libro si chiude con l’audacia della sfida: “C’è ancora qualcuno che non abbia paura a essere figlio?” (p. 139).

Ritorno, in conclusione, al Beato Angelico. Si sa che, da buon domenicano, egli ha messo la teologia di san Tommaso in pittura. Così, don Simone, ha reso in brevi articoli la potenza teologica e pedagogica di don Giussani. Lo riconosce don Alberto Cozzi: l’opera di Riva rappresenta la ricezione e l’attualizzazione della grande lezione di Giussani nella vita concreta (p. 10).

È, quella del “Gius”, una capacità unica di insegnare a cogliere il metodo di Dio dal di dentro delle pieghe della realtà. Da questo dono sta prendendo forma un nuovo genere letterario, quello della testimonianza, che già comincia a far storia. Ne sono già nati miriadi di frutti, una sorta di biblia pauperum dei nostri giorni, come lo furono i Dialoghi di Gregorio Magno. Si possono, a tal proposito, ricordare tutte le testimonianze in apertura e in conclusione della rivista Tracce, il volume Cento ripartenze di Giorgio Paolucci, la fortunatissima collana Telemaco dell’editore Itaca (con l’ultima uscita su Andrea Aziani), la stessa biografia di don Giussani curata da Fernando de Haro, sulla base della monumentale opera di Alberto Savorana.

Nel genere della testimonianza, fatti e parole risultano intrinsecamente connessi nel racconto di esperienze di vita vera: eventi di oggi in cui riaccade con limpidezza l’eco viva dell’unico Evento di Cristo. Di questo fecondo genere, L’intensità dell’istante rappresenta un recente frutto da leggere e da gustare.

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