“L’essere umano deve avere un valore straordinario agli occhi di Dio, se per la sua redenzione lo stesso Figlio di Dio si è fatto uomo”. Questo l’inizio folgorante del libro, fresco di stampa, che riunisce 366 “frammenti” inediti in Italia di Karol Wojtyła (1920-2005). Con il titolo La meta è la felicità (Ares, a cura di Marina Olmo, 2024) sono stati raccolte in volume brevi citazioni che vanno dalla metà degli anni Quaranta al 1977, cioè alla vigilia – appena 58enne – dell’elezione a Pontefice. I brani pubblicati sono tratti da opere teatrali giovanili, da studi di teologia e filosofia e da lettere del futuro santo, ma soprattutto da omelie, meditazioni, conferenze, discorsi, saluti, in occasione di visite pastorali alle parrocchie, amministrazione di sacramenti, feste liturgiche, esercizi spirituali, commemorazioni e vacanze con i giovani.
Sono pensieri profondi e di un’attualità stupefacente rivolti a famiglie, fidanzati, studenti, operai e professionisti, ammalati e operatori sanitari, semplici fedeli. Parole ricche di sapienza, autentiche, schiette, a volte spiazzanti, proposte a dieci anni dalla canonizzazione di Giovanni Paolo II, avvenuta il 27 aprile 2014. Una preziosa antologia che Papa Francesco nell’introduzione ha definito “un assaggio delle doti umane, pastorali, teologiche e culturali di uno degli uomini che più hanno segnato il secolo scorso” e che “continua ad attrarre persone a Cristo”.
Il testo si divide in due parti: la prima raggruppa citazioni su tematiche centrali dell’esistenza, come il senso del vivere, i desideri del cuore, la vocazione personale, l’amore e la famiglia, l’educazione, il lavoro, i problemi della società, la pace. La seconda riflette sui contenuti della fede, il compito della Chiesa, i sacramenti, i tempi liturgici, i valori cristiani. Wojtyła nelle sue riflessioni parte da una visione antropologica oggi praticamente assente, censurata perché scomoda, che punta a cogliere l’essenza più profonda della natura umana.
“Dio ha creato l’uomo con un corpo, a somiglianza delle altre creature di questa terra” e in questo “lo ha reso simile al mondo visibile della natura”, afferma nell’omelia pronunciata durante il pellegrinaggio del 29 maggio 1977 al santuario mariano di Piekary Śląskie, in Alta Slesia. “Ma al contempo”, aggiunge, “l’ha creato ‘a sua immagine e somiglianza’. E ha soffiato in lui la vita”. Una vita non solo materiale, fisica, perché “la vita propria dell’uomo non è la vita del corpo soltanto. È la vita dello spirito, e dello spirito vive anche il corpo umano. Da solo, muore”. Ma se è “creato a immagine di Dio”, ne deriva che “ogni uomo è una persona razionale e libera”: così in un’altra omelia degli anni Sessanta. Razionalità e libertà sono dunque le “proprietà essenziali di un individuo”. In particolare, con la razionalità “il Creatore ‘consegna’ all’uomo tutta la realtà dal punto di vista della verità”.
Andando a spigolare nella ricca messe di notazioni del sacerdote e vescovo polacco, che il 16 ottobre 1978 sarà eletto 263° successore dell’apostolo Pietro, spicca un corpus di pensieri coerente e incisivo sui sentimenti, le relazioni affettive, i rapporti coniugali e familiari: una sorta di “piccola enciclica” sull’amore umano che ha ancora, a distanza di decenni, tanto da insegnarci.
Nell’omelia che pronuncia nell’aprile 1973 durante la visita pastorale nella parrocchia del piccolo centro di Pychovice, chiarisce subito: “Solo l’essere umano è capace di amare”, proprio perché è l’unico essere vivente che “nell’amore cerca il compimento della sua vita”. L’amore “è la sua vocazione”. E questo “manifesta quanto sia vicino a Dio e quanto profondamente Dio sia in lui”. Con accenti più marcatamente poetici, nell’opera teatrale giovanile Fratello del nostro Dio (1949) definisce l’amore come “la potenza del sole che orienta tutto, non è respinto da nulla, incanta”. E in un’altra opera, Sono sempre su questa stessa riva, si spinge a sostenere, forse per sottolineare che è un sentimento che non va piegato a calcoli e interessi, che “l’amore è generalmente sconsiderato. Forse si può persino dire che più è sconsiderato, più è grande”. Ai maturandi e alla gioventù studentesca, a Nowy Targ, nel giugno 1969, ricorda con forza che l’amore è “il più grande comandamento”.
Per poi aggiungere, nello stesso incontro, che l’amore è “il più grande principio, l’ideale più alto, l’ideale assolutamente insuperabile per l’uomo”, e va inteso come “amore per Dio e amore per il prossimo”. Ma quali sono i frutti dell’amore? Wojtyła lo specifica nell’omelia rivolta alle coppie durante la visita pastorale nella parrocchia di Mistrzejowice, un distretto di Cracovia, il 10 novembre 1976: “I frutti sono la pace, la gioia, l’unione di due persone, la fiducia reciproca” e la “consapevolezza di poter contare sull’altra persona, di avere, per così dire, in lei il mio secondo ‘io’”.
Ma l’amore vero esige fedeltà. In uno studio pubblicato nel 1972 sulla realizzazione del Vaticano II scrive: “Il cristiano raggiunge la sua identità umana fondamentalmente rimanendo fedele alla legge dell’amore nei vari ambiti della sua vita e della sua azione”. L’amore, infine, non può che essere fecondo, aperto alla vita. Lo spiega nell’omelia pronunciata il 16 febbraio 1975 a Czyżyny, un altro quartiere di Cracovia, durante la benedizione delle coppie: “L’amore coniugale è per sua natura fecondo, dà vita, e in questo sta la sua grandezza”. Per questo, “privare l’amore coniugale della sua fecondità lo svilisce, lo degrada, lo priva del suo proprio significato […]. Il compito più bello della comunità coniugale, del marito e della moglie, è dare la vita ai figli, educarli, creare una vera comunità familiare. Amate questo compito”.
Nel mondo di oggi, così “inquieto e imprevedibile”, come lo ha definito Bergoglio, e devastato da un intento autodistruttivo sempre più evidente, abbiamo più che mai la necessità di ritrovare parole come queste, che ridanno dignità all’uomo, al suo destino, al suo bisogno di amare e di essere amato.
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