Oltre il frastuono degli slogan, oltre lo scontro ideologico incurante dell’esperienza reale, è possibile oggi aprire un confronto sull’aborto, sui veri desideri delle donne, sui loro diritti, sulla maternità, sulla vita, sui dubbi e le inquietudini laceranti di fronte a una scelta che comporta la soppressione di un figlio.
Il travaglio del vivere, dell’affrontare quotidiani smarrimenti e paure, scorre per lo più in un sottosuolo carsico, trascurato dalla società e dai media, dalla politica e dalle istituzioni. Questa percezione diventa evidente accostando un’iniziativa del Movimento per la Vita di Varese che ha portato alla luce storie vere, suscitate dall’urgenza di un bisogno da condividere con qualcuno in grado di intercettare uno sgomento a volte insostenibile. Diversi dialoghi on line sono stati raccolti nel libro Una chat per la vita. Cinquanta storie di speranza (Ares, 2022) a cura di Vittoria Criscuolo e Susanna Primavera, volontarie dello stesso Movimento che sostengono l’attività rispondendo prontamente agli Sos. In sostanza, tramite la chat del sito www.vitavarese.org creato nel 2018, è possibile in qualsiasi momento inviare messaggi per chiedere informazioni, sciogliere un dubbio, confidare un’angoscia… soprattutto trovare ascolto e l’immediato riscontro delle volontarie, infaticabili nel rispondere a ogni appello.
“Ciao, mi chiamo (…) e al momento vivo all’estero. Sono rimasta incinta ma il padre del figlio non vuole prendere le sue responsabilità e mi ha lasciato da sola. In uno o due mesi dovrei riuscire a tornare a (…) da mio padre ma l’idea di abortire mi terrorizza.”. È una delle tante richieste di aiuto, tutte rigorosamente anonime, che approdano in un contesto di accoglienza che spezza la solitudine, accompagna, suggerisce una riflessione proponendo risposte concrete come una soluzione abitativa, un sostegno economico, informazioni a livello legislativo a tutela della maternità… o anche segnalando associazioni dedite a specifiche problematiche o il numero verde cui ricorrere per affrontare la fase del post-aborto.
Le pagine più drammatiche sono in effetti legate all’amara esperienza dell’aborto affrontato senza piena consapevolezza: “I primi giorni dopo aver fatto l’intervento mi sentivo ‘sollevata’, poi sono cominciati i sensi di colpa e ora vedo solo donne incinte e bambini” confida una ragazza di 26 anni descrivendo i segnali di un malessere opprimente. In un altro caso il senso di sconforto affiora ancora dopo 9 mesi dall’interruzione di gravidanza: “Non riesco ad affrontare il dolore. Fa troppo male. Non so come fare…Non riesco a fare niente. Solo stare a letto, non ho forza”. Tratto comune, nell’esperienza di donne che, pressate da problemi, si sono sentite “costrette” ad abortire, è spesso la solitudine che ingigantisce le paure e il senso di impotenza di fronte al disagio, a volte una vera e propria sindrome. E rompere il silenzio, o meglio, poter affidare a qualcuno la propria angoscia, diventa decisivo: “Ho abortito e non riesco a perdonarmi… Credo di aver fatto l’errore più grande della mia vita”. Poche essenziali parole in una chat bastano a descrivere un enorme macigno sul cuore, un peso insostenibile che dopo qualche istante trova qualcuno disposto a condividerlo, qualcuno che indicherà nuovi passi, un nuovo percorso di riconciliazione e perdono.
A volte sono gli uomini a mettere allo scoperto problemi e contraddizioni, disagi e insicurezze spesso legati alla mancanza di una figura paterna nel loro vissuto, o sono gli adolescenti che annaspano nel divario fra un’immaturità fisica e psicologica e la spinta a rapporti sessuali precoci, a chiedere aiuto per uscire da situazioni ingarbugliate, angosciose. Un materiale incandescente sgorga da frasi brevi, pullulanti di urgenze in cerca di un approdo che puntualmente si fa presente in un saluto, in risposte calate con delicatezza nel groviglio di inquietudini, in parole chiare e decise sulla vita da tutelare, sull’esistenza del bambino concepito che non è “un grumo di cellule”, ma un essere umano, con il cuore che batte.
Attorno alle testimonianze raccolte nel libro, si delinea una nuova percezione della cosiddetta “scelta” abortiva: le donne incontrate da vicino nelle chat raccontano di lacerazioni e tormenti di fronte a una scelta che vorrebbero evitare, raccontano di sentirsi assillate da problemi di precarietà economica, lavorativa, familiare che in molti casi spingono a considerare l’aborto come unica soluzione. Lo evidenzia chiaramente Massimo Gandolfini, autore di uno dei contributi in appendice del libro, puntando l’attenzione sulla drammatica e colpevole latitanza dello Stato di fronte alla tragedia dell’aborto e sulla grave inadempienza nell’applicazione della legge 194 che, sulla carta, avrebbe previsto l’attivazione di politiche a garanzia della libera scelta delle madri, in realtà totalmente abbandonate. Non sfugge la carica non solo emotiva, ma soprattutto culturale delle testimonianze raccolte nel libro che aiutano ad aprire gli occhi, a riconoscere la menzogna che trasforma una tragica evenienza in un diritto, a recuperare il filo di una speranza che sostiene la vita.
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