Questa storia inizia a Venezia, in piazza San Marco: qui, come ogni mercoledì, l’avvocato Ridolfi, seduto al tavolino del Floriàn, sorseggia il suo caffè, mentre sfoglia il Corriere della Sera con aria svagata, quand’ecco che la sua attenzione viene attratta da un’anziana, distinta signora, dall’aria al contempo altera e svagata, che, non potendo distoglierlo dalla lettura in altro modo, si è messa a canticchiare un motivetto alla moda, dopo aver sollevato la veletta del cappellino. È il 14 settembre 1938, e la distinta signora, la rispettabile vedova Mebel Valt, intende proporre a Ridolfi quello che chiama “un affaruccio”: così inizia Non si uccide di martedì, di Andrea Molesini (Sellerio, 2023) un singolare racconto che potremmo definire giallo storico  – molto atipico, come vedremo -, thriller psicologico, o persino apologo morale, con tratti, quasi, di protofemminismo.



Quindici giorni dopo l’incontro della signora Valt con Ridolfi, l’autore ci porta a Rodi, nel Dodecaneso allora italiano, dove la nipote della signora Mebel, la giovane Rita, è in viaggio di nozze con il marito Enrico, un giovane, rampante chirurgo, al quale si sta dischiudendo quello che una volta si definiva “un radioso futuro”: a parte, s’intende, un problemuccio sorto in sala operatoria, in cui un paziente ci ha lasciato le penne. E, tuttavia, Enrico è fiducioso di poterla sfangare, facendo ricadere la responsabilità sull’anestesista. La coppia di neosposi sta trascorrendo giorni fatati, mentre i giornali non fanno altro che parlare della Conferenza di Monaco, che solo per poco sembra stornare le nubi temporalesche che si addensano sull’Europa. Ma anche per gli sposini l’orizzonte si fa cupo e promette tempesta: infatti si presenta loro il generale Costantini, un figuro che porta a Rita una pessima notizia, ovvero che la sua cara nonna Mebel, la sola parente che le resti e che l’ha cresciuta, è morta pochi giorni prima.



Il colpo non è solo affettivo: le ricchezze di Mebel derivano da una concessione petrolifera in Texas, i cui introiti andranno divisi tra la nipote e Costantini; sì, perché se il testamento della signora Valt nomina Rita come unica erede, l’anziana signora, poco prima di morire, ha sposato Costantini, che ora si trova erede a pieno titolo insieme alla ragazza. La proposta del generale, dunque, è di non accapigliarsi in inutili beghe legali: dato che sono in gioco milioni di dollari, ci si può accordare in tutta serenità, senza impugnare il testamento e, di conseguenza, bloccare la successione per un tempo indefinito (e probabilmente infinito) fra tribunali, giudici e avvocati. Perché Rita, Enrico e Costantini non dovrebbero godersi in tutta pace quella ricchezza colossale che consentirà a tutti e tre di vivere nel benessere per il resto della vita?



A questo punto però, Enrico, nottetempo, si reca in una taverna poco raccomandabile: per fare che? Ma per cercare un sicario, ovviamente. Come ve lo immaginate un sicario? Di sicuro vi figurerete un individuo dall’aria feroce e sinistra, dallo sguardo fosco, dal volto atteggiato a una smorfia crudele, un tipo poco raccomandabile, insomma. Invece, colpo di scena: il sicario con cui il giovane e brillante dottore è stato messo in contatto dal personale dell’hotel dove alloggia è una bella donna dalla bellezza dorata, Elena, che nel suo covo coltiva la bellezza, le buone letture, e possiede anche un’opera di Boccioni.

Ma le sorprese non finiscono certo qui: chi è davvero Elena? Perché anche lei si imbarca sulla nave che deve ricondurre in Italia Enrico, Rita, Costantini e l’avvocato Ridolfi, palesatosi in quanto esecutore testamentario della signora Valt? La trama si complica, e mentre il quintetto dei personaggi solca il Mar Egeo per tornare in Italia, troviamo la dimostrazione del fatto che la nave è il mezzo di trasporto più pericoloso, e che le uova fanno male, decisamente male.

In questo libro, di deliziosa perfidia, Andrea Molesini gioca a lungo con il lettore, procrastinando la risposta ai suoi tanti interrogativi: chi è davvero Elena? Chi l’ha veramente ingaggiata? Da chi ha imparato a uccidere con tanta spietata eleganza? E la rivelazione non potrà che cambiare il mondo di Rita, signorina di buona famiglia educata dalle suore e cresciuta fra centrini ricamati e vasi di rose ad allietare l’ora del tè.

Non si uccide di martedì, dicevamo, è davvero un giallo atipico: non ne riveliamo il motivo per non guastare la sorpresa, ma, sicuramente, si tratta di uno degli intrecci più subdoli e ingegnosi in cui il lettore appassionato del genere può imbattersi, e restare invischiato, conquistato anche dalla chiusura di sapore decisamente teatrale e un po’ straniante. E se, arrivando alle ultime pagine, avrete compreso che genere di trappola sia stata ordita e chi l’abbia fatta scattare, ebbene, allora, come per i giochi più diabolici della Settimana Enigmistica, avrete meritato il titolo di “solutori esperti”.

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