È uno dei paradossi più rilevanti della nostra epoca 2.0. Viviamo in un mondo in cui le informazioni non sono mai state così rapide, così complete, così globali, ma nello stesso tempo siamo attaccati dalle fake news, diamo credito ai pregiudizi, ci aggrappiamo svogliatamente ai luoghi comuni. Molte accreditate indagini hanno dimostrato che la percezione degli italiani è divergente, anche profondamente, dalla realtà. Che si parli di numero di immigrati, di criminalità, di salute, di tecnologie, di lavoro, di natalità, non c’è settore in cui invariabilmente i giudizi nascono da una visione negativa, sopravvalutando i fenomeni di cui si ha timore e sottovalutando quanto vi può essere di positivo.



Le ragioni di questo disallineamento sono molteplici. C’è la sempre maggiore influenza dei social network, che abituano a una visione limitata e parziale, basata su frasi ad effetto, concentrata su slogan che hanno la pretesa di autodimostrarsi. C’è poi una politica che mutua il peggio dalle comunicazioni via internet e che punta a demonizzare gli avversari: come quando alle ultime elezioni i governanti uscenti sono stati tranquillamente accusati di aver “massacrato” il Paese. C’è, infine, una scuola che non riesce a seguire criticamente l’evolversi dei tempi e che non riesce più a insegnare quella dimensione critica che è essenziale per interpretare la realtà in maniera personale e responsabile.



Manca una bussola, manca l’ancoraggio a valori chiari e condivisi, manca la volontà di essere costruttivi e non solo portatori di rancore e scontento.

In questa dimensione non aiuta certo l’arroganza di una cultura costruita sul soggettivismo individualista, che è riuscita a imporre i propri modelli sociali anche attraverso la manipolazione del linguaggio. Basti pensare alla definizione di “diritti civili”, affermati ad ogni piè sospinto, che costituiscono il confortevole rifugio per l’affermazione di ogni libertà personale anche contro i diritti degli altri.

Un’alternativa ci potrebbe essere: quella di pensare, di lasciare spazio alla ragione anche quando propone soluzioni scomode da accettare, quella di passare dall’invettiva all’analisi, dalla rabbia alla conoscenza. Magari per scoprire soluzioni che possono essere possibili anche senza dividere manicheisticamente il torto e la ragione, ma con la volontà di approfondire, di scoprire la radice dei problemi, di non fermarsi alla superficie delle emozioni o delle mode.



È il metodo di un’informazione che diventa cultura. È il metodo che Robi Ronza dimostra di praticare in questa raccolta dei suoi ultimi articoli (Non siamo nel caos, Ares 2019), una raccolta che spazia dai temi politici italiani e internazionali a quelli etici e morali, con riflessioni non scontate sull’immigrazione, sui temi ambientali, sull’Europa. Tutte con la prospettiva della responsabilità personale e con il metodo di un cristianesimo che non rinuncia a giudicare e a prendere posizione.

“Si tratta – afferma nella prefazione il cardinale Angelo Scola – di attingere al grande patrimonio di esperienza umana, di idee vissute e maturate nei secoli dal popolo cristiano, in una parola di santità, per dare laicamente il proprio contributo alla costruzione di relazioni buone per l’uomo e la società. Tutto questo avendo ben chiara quell’ineliminabile distanza tra Città di Dio e la Città degli uomini che mette al riparo da ogni tentazione di clericalismo”.

In queste pagine di Robi Ronza ci sono tanti spunti di riflessione, su cui magari si può discutere e non essere d’accordo, che lasciano emergere al fondo un’amara constatazione: la presenza dei cattolici nella società italiana di oggi è arrivata a essere irrilevante sul piano non solo politico, ma anche culturale. Pur avendo un patrimonio di esperienze e di approfondimento che potrebbe costruire un filo d’Arianna per uscire dalla crisi, come promette il titolo del libro.

Non è facile contrastare il vento delle ideologie dominanti, ma è ogni giorno più importante cercare una via d’uscita cercando i segni, e sono molti, per cui, come afferma Ronza, “la realtà non è un caos, bensì un cosmos, cioè un ordine ragionevole e orientato al bene, anche se tale orientamento ha subìto danni evidenti”.

La prova? Basta riprendere in mano l’enciclica Caritas in veritate per avere la dimostrazione di come nel messaggio cristiano ci siano tanti elementi di giudizio che possono aiutare a comprendere e operare nell’attuale complessa realtà economica.