La storia irrompe, magistra sempre, agli sgoccioli dell’estate, e nel pieno di una campagna elettorale violenta e ancora purtroppo incentrata su contrapposizioni ideologiche che si rifanno ad anni lontani. Apparentemente con una notizia insignificante. Nella spiaggia di Santa Severa, ridente località marina a ridosso di Roma, due cercatori armati di metal detector si imbattono in una cosa strana di metallo (cosa cercavano i rabdomanti tecnologici? Non conchiglie, forse qualche gioiello perduto? Non è dato saperlo). Il Corriere della Città, testata minore ma lodevolmente attenta, racconta: la cosa di metallo è una targhetta, una piastrina militare, con pochi dati. Nome, cognome, anno di nascita, e il nome di una donna, la madre (a lei sarebbe arrivata la pietosa e tragica notizia del figlio caduto in battaglia).



Si tratta di Norbert Martin Knight, nato in anno Domini 1914, veterano dell’esercito americano. Sua mamma si chiama Margareth, c’è anche un indirizzo, Northcote Avenue, Chicago. Si rispolverano le memorie, e soprattutto l’opera dei cercatori prosegue, nei meandri stavolta non sabbiosi, ma storici. E si trovano parenti, si delinea la vicenda umana di un soldato, uno dei tanti cui dobbiamo un grazie riconoscente e sincero. Era solo un ragazzo, strappato a un lavoro dopo studi seri, mandato  a combattere in Europa dopo l’attentato giapponese a Pearl Harbour, e protagonista di uno sbarco che ci ha spalancato le porte della libertà, sia detto senza retorica.



“Sbarcammo ad Anzio, una notte…” canta una ballata  nota, e così fu, anche per Norbert, 28enne fante, il 22 gennaio del ’44. Quando, dopo i duri combattimenti, la Capitale viene liberata risale coi compagni la linea Gustav e perde la sua piastrina di riconoscimento proprio sulla spiaggia di Santa Severa. Forse si era fermato per un bagno ristoratore, forse accampato per un momento di fiato. E la sabbia custodisce per 78 anni la sua memoria, che può essere ricostruita. Non si è perduta, come la sua vita, perché sappiamo dai familiari che è sopravvissuto, pur continuando a battersi contro i nazisti in ritirata, pur rimanendo ferito.



Decorato per meriti, viene finalmente congedato e può tornare a casa, in Indiana, si sposa con la ragazza lasciata in lacrime anni prima, e con lei passerà una vita serena, abbandonandola ancora, e ancora temporaneamente, nel 2003, quando chiuderà gli occhi. Speriamo si ricongiungano per sempre in paradiso.

Toccante, commovente, da film. Che dovrebbe ridonarci il ciuffo chiaro, gli occhi ridenti e impauriti, la volontà coraggiosa di un ragazzo strappato agli affetti per approdare qui, in un’Italia smarrita e incerta, per obbedire agli ordini, certamente, e forse per un anelito di amor patrio, forse consapevole di un compito, di un destino di popoli liberi cui avrebbe potuto contribuire.

Un film dovrebbe ridarci la gratitudine, troppe volte scordata, per tanti che hanno scelto da che parte stare nella grande Storia, e cui dobbiamo la svolta della nostra storia repubblicana e democratica. L’America è stata tutto questo, lo è ancora, nonostante tanti errori e colpe, rispetto ad altri attori sullo scenario geopolitico che hanno donato solo morte e oppressione. Quel che siamo lo dobbiamo anche e soprattutto a questi soldati. La nostra resistenza ha preso slancio e audacia grazie alla forza di centinaia di migliaia di Norbert che hanno stretto in una morsa dal nord e dal sud gli Uruk-hai hitleriani. Non tutti ci hanno lasciato una piastrina per ricordarli, non tutti sono tornati a casa.

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