Si dice che la fortuna bacia i belli. Nel caso del film L’incredibile vita di Norman (2016) scritto e diretto da Joseph Cedar, la fortuna si chiama Richard Gere, che accettando la parte di Norman ha sdoganato il film dalla nicchia delle pellicole indipendenti dedicate alla millenaria meditazione sul “tipo psicologico ebraico”.



Cedar è un regista israeliano nato a New York e cresciuto a Gerusalemme. La sua riflessione – amara, anche se il film ha la patina della commedia – è iniziata studiando la figura dell’ebreo di corte, un personaggio chiave per il successo di uomini potenti: un abile stratega, un finanziere illuminato, destinato però a rimanere nell’ombra, ma soprattutto condannato all’impotenza nel contrastare la sorte che il destino personale e storico gli avrebbe assegnato.



A Richard Gere il copione ha suggerito invece altre riflessioni, spostando d’autorità il tema sul piano universale dell’amicizia e dei rapporti personali. Ovvero se l’amicizia abbia ancora posto in un mondo dominato dai giochi della finanza, delle alchimie della politica (e della guerra). O se sia divenuto ormai un cascame, buono giusto per qualche appassionato dell’Etica Nicomachea di Aristotele o degli scritti di Confucio.

Norman è un personaggio dai confini confusi, non facile da decifrare, un ebreo sui generis, un faccendiere newyorkese, una sorta di mercante di promesse, un trafficante di favori, un sistematico investitore di aspettative a lungo termine. Si presenta come consulente finanziario, ma è totalmente fuori dagli schemi a partire dall’abbigliamento, non ha un ufficio, nessuno sa dove abiti, millanta conoscenze improbabili, comprese una moglie e una figlia che molto probabilmente non ha avuto, o che lo hanno lasciato e dimenticato. L’unica certezza che Norman offre al pubblico è di saperci fare col cellulare, lo strumento della sua connessione con l’universo, la leva per mezzo della quale è convinto – a dispetto dello scetticismo e del sarcasmo che lo circondano – di poter sollevare il mondo, superare ogni ostacolo, raggiungere ogni meta.



Norman si definisce un buon nuotatore, uno che non annega travolto dai problemi e, comunque sia, uno che arriverà a destinazione. Come osserva Richard Gere, che ha imparato a conoscere e apprezzare il personaggio sul set, Norman “non sente le sconfitte e le umiliazioni, perché le lavora così rapidamente che non si trasformano mai in rabbia, è una cosa rara per un essere umano, non credo che abbiamo mai visto un personaggio così”.

All’inizio del film troviamo Norman galvanizzato da rumors che provengono dal mondo della finanza: lo Stato di Israele è pronto a vendere i suoi crediti fiscali a condizioni vantaggiose. Un’operazione milionaria, che frutterebbe a Norman ottime commissioni. Manca giusto l’investitore. Per nulla scoraggiato dall’enormità dell’impresa, Norman inizia a tessere una tela di relazioni per arrivare al match risolutivo per il buon esito dell’operazione. All’ultimo l’appuntamento sfuma, e con esso l’affare.

Nel frattempo, l’eccentrico protagonista si è conquistato la simpatia di Micha Eschel, futuro premier israeliano, omaggiandolo di un lussuoso paio di scarpe. Il contributo scenico di Richard Gere sta nel decidere, direttamente sul set, che sarebbe stato Norman a far calzare le scarpe a Eschel, non solo a pagarle, come previsto dal copione. Norman è un buon investitore, intuisce che Eschel è il “cavallo giusto”, non sa come e quando sarà ripagato, ma intanto investe inaugurando un rapporto di amicizia che prima non c’era.

Ma Norman è anche un ingenuo. Una pecca non dappoco, perché ingenuo e innocente non sono la stessa cosa. L’ingenuo può fare disastri e Norman non fa eccezione. Per la smania di fare favori a tutti finisce col mettere in imbarazzo Eschel presso un magistrato incaricato di vigilare sul comportamento dei politici israeliani sul suolo americano. La stampa monta uno scandalo mediatico che costringe il politico a scaricare Norman pubblicamente. L’amicizia sembra compromessa, o relegata a una forma di rapporto minore, che a conti fatti non può reggere la sfida della realtà. Almeno non agli alti livelli.

Per Norman non è detta l’ultima parola. Solo che per far breccia nella mente cinica dei finanzieri di Wall Street e nelle logiche ferree della politica deve portare argomenti convincenti. Vende a un importante banchiere un’informazione strategica di cui dispone grazie all’amicizia di Eschel. Ne scaturisce un’operazione da un miliardo di dollari in una notte. Niente male, partendo da un paio di scarpe come investimento iniziale. Forse Norman quel paio scarpe lo ha pagato comunque un prezzo troppo caro. Ma questo è un approfondimento e una valutazione che affido a chi ha già visto il film o avrà la curiosità di vederlo.

La mia nota in proposito è molto semplice. La posta sul piatto è rilevante: considerare Norman un soggetto normale (psichicamente ben orientato) oppure, all’opposto, un’altruista patologico che vanifica l’amicizia senza darle frutto.

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