Quando si fa filosofia si parte da un interesse, da una fede che occorre poi riscattare sul piano filosofico. Essere cordialmente cristiani significa assumere una posizione che esalta la razionalità, ma senza pretendere da essa ciò che essa non può dare. Non tutte le posizioni filosofiche e metafisiche sono conciliabili con il cristianesimo. Pregio di un filosofare nella fede può essere quello di assumere un punto di vista da cui valutare la storia, adeguato all’ampiezza del desiderio, non condizionato dall’assolutizzazione di particolari e dall’esigenza di continue conferme, cosciente delle ambiguità insite in ogni tentativo umano.
Di ciò era ben consapevole Luca Obertello, che è stato ricordato a due anni dalla sua scomparsa in un Convegno internazionale il 26 maggio scorso presso l’Università di Genova dove ha insegnato per lunghi anni storia della filosofia. E da storico della filosofia di vecchio stampo egli abbracciava tutto l’arco del pensiero occidentale.
Fin da giovanissimo Obertello ha coltivato una particolare attenzione per John Henry Newman, un pensatore sui generis (un romantico che è stato insieme filosofo, teologo, storico, poeta, educatore, apologeta) che non era mai stato studiato a fondo da un filosofo in Italia. Attenzione che si estende anche alle sue radici: i Padri, Agostino, su cui Obertello non ha scritto un libro, ma che conosceva assai bene, Butler e molti altri. Inoltre egli ha studiato in maniera esauriente il pensiero di Manlio Severino Boezio, influenzato dal platonismo pagano e cristiano, figura decisiva di transizione fra antichità e Medioevo su cui, ancora giovane, ha scritto una corposa monografia che è presente nelle biblioteche filosofiche di tutto il mondo.
Da questi autori Obertello, pur rimanendo essenzialmente uno storico della filosofia, ha tratto una sua personale visione filosofica. Quali sono i cardini di questa visione? In primo luogo, in opposizione ad ogni velleitaria utopia, una cordiale accettazione della propria umana razionalità. Citando il “suo” Newman, “il mio primo ed elementare dovere è quello dell’accettazione delle leggi della mia natura, quali che siano; la mia prima disobbedienza sta nel non sopportare quello che sono, nell’indulgere a desiderare ambiziosamente di essere quel che non posso essere, nel nutrire una mancanza di fiducia nelle mie facoltà, e nel desiderare di cambiare leggi che s’identificano con me stesso”.
Quindi un atteggiamento realista che coinvolge, insieme, razionalità e affettività. Sinteticamente nota Obertello: “Newman è cordialmente avverso a procedimenti di pensiero che invece che apprendere dalla realtà, ascoltarne il battito e disegnarne la fisionomia oggettiva, ritengono di doverla anticipare e istruire, dirle come deve essere più che vedere e ascoltare come di fatto sia”.
Ma l’interesse di Obertello è soprattutto metafisico, attento alla centralità del tema di Dio, oggi piuttosto trascurato. Se si legge con attenzione la realtà, a partire dal mondo e da se stessi, esperienza questa che non è meramente soggettiva, da essa si risale ad un principio trascendente di unità. Obertello parte dalle origini della filosofia: “Secondo Parmenide […] l’essere, la totalità dell’essere non è generato e l’assioma medèn ek medenós (dal nulla non può derivare che nulla) esprime l’eterna immutabilità di un mondo che si pensa immune dal divenire. Ma la condizione base che permette a un tale mondo di essere concepito correttamente è che esso sia distinto da quello presente e visibile come per primo afferma Platone”.
Ma come pensare il rapporto fra Dio e mondo? Ispirandosi ad Agostino, Obertello evita sia un’estrema “divaricazione” tra i due poli – è questo il caso del deismo moderno del Dio orologiaio – sia una loro “confusione” panteista la quale, immergendo Dio nel mondo, ne fa da esso dipendere la Sua natura, e lo fa come esso e con esso divenire. Ma il punto più interessante riguarda l’affermazione del ruolo fondamentale svolto dalla rivelazione cristiana nel pensare Dio in filosofia: “La redenzione è l’apparizione all’uomo dell’onnipresente Potenza divina, la rivelazione o il disvelamento personificato – per così dire – della Sua operazione creativa nei confronti del mondo, diciamo con altra parola del Suo amore per il mondo. Coloro che accolgono il principio secondo cui Dio è produttore trascendente dell’universo – come i filosofi neoplatonici pagani – ma rifiutano la condiscendenza verso la creazione dimostrata nello scendere fino ad essa, e nell’accoglierne integralmente la condizione, dalla nascita alla morte, non hanno percorso fino in fondo la via indicata dalla stessa ragione filosofica – non hanno, cioè, compreso che l’amore creativo di Dio è divino, ossia assoluto e totale”.
Invece la filosofia neoplatonica pagana, prigioniera di un’immagine gerarchica della discesa da Dio al mondo, non vedeva come la cura del mondo anche nei minimi particolari da parte di Dio non contradicesse la sua infinità e onnipotenza. Anzi! Questo tema agostiniano sarà ripreso poi da Tommaso e dalla scolastica. Ma come è possibile l’adesione di fede in una rivelazione? Secondo Obertello, come già per Newman, grazie a quell’assenso reale (sul tipo del giudizio “Mia madre mi vuole bene”) in cui v’è sinergia di razionalità e affettività, che si differenzia dall’assenso nozionale (per esempio la conclusione di una argomentazione – una prova di Dio). Ma anche in base alla concezione della certezza secondo l’esempio di un poligono, i cui molteplici lati (le diverse ragioni) tendono al cerchio (la certezza), che rappresenta il complesso delle ragioni adeguate dell’adesione ad una determinata ipotesi di vita. Obertello difendeva, così, accanitamente le certezze e il respiro metafisico del senso comune.
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