Ogni vita è un mondo unico e straordinario, perché ci parla di un mistero affascinante. Quando un mondo finisce, non muore quel mondo unico, quell’io irripetibile, ma l’unicità di tutto il mondo e di tutti i mondi dentro quel mondo.
Ci sono poi morti che si dimenticano presto. O vite finite che restano sulle pagine di giornali per qualche giorno o come fotogrammi transitori in squarci personali di memoria o come esistenze esaurite/ridotte in ossequiose cerimonie formali. Altre che restano, invece, come un sibilo intenso e costante che inquieta la coscienza, ogni giorno.
A Pasqua è morta la sergente maggiore Olena Kushnir, un medico. Rimasta con un centinaio di donne a Mariupol, per condividere la difesa e le sofferenze del popolo assediato. Le foto in rete ci consegnano la bellezza di un giovane volto: un sì alla vita, un desiderio di speranza. Una donna attaccata, però, nella sua insostituibilità, dall’oppressione violenta, dalla fame e dalla sete.
La sua testimonianza, scritta col sangue e la carne, ci fa ritornare alla mente un’altra donna, Simone Weil. Vite donate entrambe, in modo diverso, a qualcosa di più grande e incalcolabile.
In Simone Weil, Joe Bousquet, Corrispondenza. Progetto di una formazione di infermiere di prima linea (Se, 1994) la grande filosofa ci trasmette la fiamma della sua indignazione, che arde per la sventura portata dal nazismo. Brucia dal desiderio di essere nell’occhio del ciclone, per essere nel mezzo, dove il guado è più difficile. Avrebbe voluto essere proprio come Olena, un’infermiera di prima linea. Un modo diverso di essere, totalmente altro, rispetto ai nazisti portatori di morte.
“Il semplice persistere di un compito umanitario nel centro stesso della battaglia, nel punto culminante della ferocia, sarebbe una sfida clamorosa alla ferocia che il nemico ha scelto e che ci impone a nostra volta. La sfida colpirebbe tanto di più perché a svolgere questi compiti sarebbero delle donne e animate da una tenerezza materna”.
Confida se stessa e il suo desiderio fatto di fiamma a un’anima gemella, a un’amicizia privilegiata, a un uomo ferito dalla vita. Solo pochi, infatti, e co-sofferenti, possono cogliere i moti profondi e dolorosi dell’anima. E Simone Weil è una donna controcorrente, un emblema del dissenso al Potere di ogni tempo: quello che schiaccia, nullifica, disumanizza. Critica anche nei confronti del potere bolscevico, considerato oppressivo come il fascismo e costituito da personaggi che non avevano mai messo piede in un’officina. Pronta a sottolineare il primato degli obblighi degli uomini nei confronti dei loro simili. Un altro pensiero, insomma, rispetto alla mediocrità borghese da comodo posto al sole.
Il suo pensiero e i suoi scritti hanno messo in luce come il mondo vero è diventato favola: al posto dell’Alterità è stata inserita la Forza. C’è stata un’usurpazione nel tempo. La Forza è diventata un primum ontologico con cui farla finita con l’altro da sé. Si tratta di un gioco tragico che domina l’anima e stritola tutti: si uccide e si è uccisi, inghiottiti dal vortice.
Ma c’è qualcosa che accende il dissenso contro la monomania violenta: la bellezza. Venezia salva (Adelphi, 2022) è un capolavoro incompiuto che ci parla di oggi e del dramma della scelta. Il testo, in cui si narra la congiura spagnola del 1618 volta a impossessarsi di Venezia e distruggerla, vede in lotta due posizioni umane differenti. Renaud, il megalomane, assoggettato al primato della Forza, di cui è servitore, e Jaffier, che salva la città, tradendo i suoi compagni. Egli è “un uomo attento che, all’improvviso, la vede e la salva”. È un giusto che rompe il cattivo infinito, l’unità nel male, la chiusura nello spirito di corpo. Egli vede Venezia. Non la pensa come oggetto di un possesso o come spazio di conquista. È colpito dalla sua alterità, dal fatto che non è sua, come non è sua la vita. Il segreto della differenza lo espropria dalla sua presuntuosa certezza e gli fa fare un passo in senso contrario. La salvezza viene pagata, poi, con la drammatica scoperta che il meccanismo della Forza può prendere tutti.
Simone Weil ci insegna, ultimamente, che il Potere che mette a morte va in crisi quando qualcuno vede la bellezza che c’è: nei volti di chi soffre, nelle città, nella semplicità di ognuno. Tanti mondi unici e insostituibili soffrono, cadono per la cieca indifferenza della Forza e di chi la serve.
E ogni giorno, anche oggi, Kiev come Venezia è bellissima.
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