Quanto le recenti elezioni a Mosca sono state un fatto scontato, tanto il post-elezioni si colora di imprevisto. I processi e le plateali condanne inflitte ai dimostranti che erano scesi in piazza in luglio e in agosto per rivendicare “elezioni democratiche” non hanno avuto l’effetto intimidatorio auspicato. Al contrario, un gruppo di sacerdoti ortodossi del patriarcato di Mosca il 17 settembre ha sottoscritto una lettera aperta in difesa delle persone ingiustamente condannate. Inizialmente i firmatari erano 30, ma siamo già a quota 170 (e la sottoscrizione continua).



Questo gesto – certamente inaspettato per l’opinione pubblica, ma anche per le autorità civili ed ecclesiastiche – ha scatenato nel giro di poche ore un’impressionante reazione a catena, dando il via a una serie di iniziative pubbliche che hanno mobilitato migliaia di persone. Svariate categorie di cittadini russi – medici, insegnanti di scuola e docenti universitari, attori, imprenditori, impiegati dell’editoria – hanno organizzato picchetti, pubblicato e fatto circolare petizioni, dichiarazioni, lettere aperte.



Forse per la prima volta, da anni, la Chiesa ha assunto una propria posizione autonoma di fronte agli avvenimenti, anziché muoversi seguendo la bacchetta di qualcun altro: e il seguito inaspettato che il gesto ha avuto, nella società civile, testimonia quanta attesa e quanta stima vi sia nei suoi confronti.

I firmatari sono intervenuti coraggiosamente in merito alla “politica”, sebbene nel testo non vi sia affatto un’ottica politica – com’era già stato per padre Giovanni Guaita, che aveva accolto nella sua parrocchia dimostranti e uomini della polizia nel corso della manifestazione di protesta del 27 luglio scorso –, bensì la convinzione di dover intervenire per essere fedeli alla propria identità cristiana.



Un altro elemento interessante, inedito, è la geografia dei firmatari della lettera. Certamente, come ha fatto notare più di un commentatore, tra essi vi sono gli esponenti del clero “illuminato” della capitale, i parroci delle chiese in cui converge l’intelligencija, gli eredi della memoria di padre Aleksandr Men’. Ma tra i firmatari compaiono anche sacerdoti che svolgono il ministero all’estero – in Bielorussia e Ucraina, addirittura in Belgio, in Italia, in Germania, in Svezia, in Spagna e soprattutto in numerose diocesi periferiche e parrocchie sperdute –, a testimoniare una vasta rete sotterranea di contatti, di amicizie, oltre che di attenzione e responsabilità per quanto sta avvenendo nel paese.

Il fenomeno è tanto più sorprendente pensando alla fragilità della posizione dei sacerdoti di provincia, non solo nei confronti delle autorità civili, ma anche dell’autorità ecclesiastica, che finora non ha mai tollerato un gesto tanto “indipendente” tra le sue file.

La voce ufficiale del patriarcato, in realtà, si è fatta sentire con toni abbastanza sobri, smussando i termini e demandando il giudizio a commissioni che possano meglio vagliare il problema giudiziario, senza però sconfessare in linea di principio i firmatari e la motivazione con cui si apre la loro lettera: “Esercitando il nostro dovere pastorale di intercedere per i prigionieri, noi, sacerdoti della Chiesa ortodossa russa, ciascuno sotto la propria responsabilità, riteniamo nostro dovere esprimere il convincimento che sia necessario rivedere le delibere del tribunale sulle pene detentive inflitte a una serie di persone implicate nel ‘processo moscovita’”. Sia Vladimir Legojda, presidente del dicastero per le relazioni tra Chiesa e società, che il vescovo Savva Tutunov, uno dei vicari del Patriarca Kirill, hanno ribadito che non esiste da parte della gerarchia ecclesiastica nessuna intenzione di opporsi all’iniziativa o tanto meno di punire i suoi promotori.

La verità è che tra la gente – negli ambienti laici come in quelli ecclesiastici – sta crescendo una nuova consapevolezza del proprio potere, e soprattutto della propria responsabilità. Il caso del giornalista Golunov – accusato di essere in possesso di stupefacenti e scagionato nel giro di pochi giorni in seguito al sollevamento dell’opinione pubblica (in realtà, stava svolgendo ricerche su business mafiosi legati ai cimiteri) – e la battaglia vinta per salvare il parco pubblico a Ekaterinburg sono fatti di pochi mesi fa che attestano l’esistenza di insospettati spazi di azione per la società civile.

Spiegando la genesi di questo gesto, che forse per la prima volta da anni ha “riabilitato” la Chiesa agli occhi di molta parte dell’opinione pubblica, o se non altro ha sollevato domande che la gente non era più abituata a farsi, padre Aleksej Uminskij (uno dei firmatari, oltre che popolare conduttore di programmi televisivi e autore di libri di formazione cristiana), ha detto con molta nettezza: “Con questa lettera, in cui ciascuno risponde delle sue parole, della sua firma, contiamo solo sul fatto che la nostra voce di sacerdoti della Chiesa ortodossa russa possa ridestare davvero qualche coscienza, indurre qualcuno a guardare dentro di sé”.