Con in copertina una rielaborazione della faccia bella e rovinata di Mickey Rourke nel film-cult degli anni Ottanta Angel Heart-Ascensore per l’inferno, già il libro è irresistibile; ma Saul Kiruna, requiem per un detective (Oligo, Mantova 2021) di Cosimo Argentina è un curioso esperimento di mescolanza dei generi, di noir chiaramente ispirato all’hard boiled abbondantemente annaffiato di distopia. Il romanzo è ambientato in una Milano post-apocalittica, semispopolata e ridotta, dopo una catastrofe non meglio definita (detta eufemisticamente “il finto terremoto”), a un ammasso di macerie, di strade dissestate, di quartieri ridotti a un pullulare di umanità allo sbando: il vero status symbol ormai è l’elicottero, e il centro nevralgico dove vivono i ricchi e i potenti è diventato Lecco: la distanza fra Lecco e Milano, che pure è una manciata di chilometri, è in realtà siderale, perché è la distanza fra due universi separati e incomunicabili.
Il romanzo – cupissimo e solo per stomaci veramente forti, vista la crudezza ben oltre lo splatter di varie sequenze, specialmente nel finale – ci presenta le vicende di un investigatore privato allo sbando, ex poliziotto e figlio di padre indegno, dalla vita tragica e dalla famiglia peggio che dilaniata, immerso in una umanità dolente e afflitta, per la quale l’omicidio è una cosa talmente comune e normale che sono stati riesumati nientemeno che i giochi gladiatori, quelli più cruenti, quelli definiti sine missione, dove si sa che l’essere umano dà spettacolo di sé e della sua morte. E a questi giochi, cui affluisce un gran pubblico, in locali segreti non per nulla detti “scannatoi”, proprio in senso etimologico (locali che poi tanto segreti non sono, anche se sulla carta proibiti), accorrono in frotte persone d’ogni ceto per ubriacarsi del sangue dei loro simili, e spesso, a voler essere sacrificati, sono i più disperati fra i disperati.
Ma tutti i personaggi, anche quelli che, teoricamente, potrebbero essere definiti fortunati, benestanti, al riparo dalle durezze della vita, hanno in sé qualcosa di disumanizzato e stravolto, a partire dal ricorso a interventi di chirurgia plastica sempre più invasivi e tali da portare chi li subisce ad avere l’aspetto non di essere umani attraenti, ma di manichini di plastica. La città, in cui si beve a fiumi l’immaginaria bevanda detta “birrassenzio”, che ci riporta all’universo decadente, e nella cui descrizione sembra di cogliere suggestioni alla Blade Runner, è così un’autentica giungla di cemento, dove non c’è riparo possibile, nemmeno nelle case di cura e negli ospedali, che diventano anzi luoghi insidiosissimi (leggere per credere).
A Kiruna, sempre debitamente stropicciato come si conviene a un detective privato, ma con il cuore sufficientemente tenero per prendersi a cuore le sorti di un bambino affidato a un istituto, si presenta un ricchissimo magnate, Luca Brasi, commerciante d’armi a livello internazionale in cerca della figlia, Anna, misteriosamente svanita nel nulla. Per ritrovare la ragazza sono già stati mobilitate l’Interpol e le polizie di mezza Europa, ma Brasi non vuole lasciare nulla di intentato, e si rivolge anche a Kiruna. L’indagine si rivela subito difficile, e forse anche pericolosa, visti gli ambienti che il detective deve frequentare. In particolare, emerge una pista esoterica: già, perché in questa città devastata da una catastrofe che tanto naturale non è stata, sono rinati i culti misterici, che recuperano le forme e le simbologie dell’antica religione romana, del culto dei Fratres Arvales, il collegio sacerdotale degli Arvali (anche se non mancano nemmeno allusioni ai più sanguinosi fra i miti classici, come quelli della casata degli Atridi). Come scoprirà con raccapriccio Kiruna, in questi riti cruenti non solo Anna era implicata, ma, a quanto pare, anche la seconda moglie di Brasi non è affatto estranea: e questo porterà male, molto male, a tutti. Un romanzo nerissimo, Requiem per un detective, con un finale nero come il cuore del suo protagonista.
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