Tra sapere e conoscere c’è di mezzo un incontro. La mia curiosità per l’Ospedale degli Innocenti è nata il 10 novembre 2015, quando Papa Francesco, parlando al Convegno della Chiesa Italiana, ha detto: “Siamo qui a Firenze, città della bellezza. Quanta bellezza in questa città è stata messa a servizio della carità! Penso allo Spedale degli Innocenti, ad esempio. Una delle prime architetture rinascimentali è stata creata per il servizio di bambini abbandonati e madri disperate. Spesso queste mamme lasciavano, insieme ai neonati, delle medaglie spezzate a metà, con le quali speravano, presentando l’altra metà, di poter riconoscere i propri figli in tempi migliori. Ecco, dobbiamo immaginare che i nostri poveri abbiano una medaglia spezzata. Noi abbiamo l’altra metà perché la Chiesa madre, la Chiesa madre ha, in Italia, l’altra metà della medaglia di tutti e riconosce tutti i suoi figli abbandonati, oppressi, affaticati. E questo da sempre. È una delle vostre virtù perché ben sapete che il Signore ha versato il suo sangue non per alcuni, né per pochi né per molti, ma per tutti” (Papa Francesco, Discorso alla Chiesa italiana a Firenze, 10 novembre 2015).
La medaglia spezzata degli Innocenti diventava, nel discorso del Papa, metafora del compito della Chiesa. La frase del Papa leggeva anche l’immediato contraccolpo che avevo sempre provato, passando davanti all’Ospedale degli Innocenti: la costruzione grande, rialzata rispetto alla piazza, con la facciata bicroma bianca e grigia, rallegrata dai tondi a terracotta invetriata di Andrea della Robbia, suscitava in me innanzitutto stupore.
Uno stupore legato al fatto che per dei bambini abbandonati, per i derelitti fosse stata pensata una dimora magnifica, tradizionalmente identificata con il prototipo dell’architettura rinascimentale. Per un’opera che non aveva eguali – era la prima volta che nel mondo si costruiva un luogo di accoglienza laico destinato soltanto all’infanzia abbandonata – si usava un linguaggio artistico nuovo, che inaugurava il periodo più alto della storia artistica europea.
È una dimora che non ha nulla del luogo segreto dove nascondere le colpe di un’epoca. La stessa architettura ci dà il senso di un luogo di serenità e di pace, pensato da una città che si prendeva cura di tutti i suoi figli e ai più sfortunati destinava uno spazio degno di principi. Chi dolorosamente abbandonava qui un bambino doveva pensare che la comunità poteva assicurare al piccolo un futuro degno, che – per le ragioni più varie – era precluso come possibilità da offrire a chi l’aveva generato.
L’Ospedale non è appartato: è al centro della città, a due passi dal Duomo, sulla piazza dove sorge il santuario mariano di Firenze. Sotto il manto di Maria trovano riparo gli innocenti e a Lei è dedicato l’Ospedale: i bambini abbandonati sono suoi figli prediletti.
E l’Ospedale dialoga con la città, anche visivamente, attraverso il lungo portico, punto di incontro tra la comunità ospedaliera e quella esterna: sembra quasi che l’istituzione degli abbandonati offra un ricovero a chi passa, come in un potente rovesciamento delle parti. E infatti il portico dell’Ospedale detterà la forma a tutta la piazza: di fronte ne verrà realizzato un altro, agli inizi del XVI secolo, quasi specchio degli Innocenti, commissionato dai Servi di Maria.
La facciata della chiesa sarà arricchita alla fine del Cinquecento da un portico esterno che la lega al resto della piazza quadra e assai ben larga per ogni lato, ornata nelle parti laterali d’un colonnato con logge, dalle quali ella riceve sembiante di teatro (F.L. Del Migliore, 1684).
D’altronde credo ci sia un nesso profondo tra carità e arte. La carità, ci ha insegnato don Giussani, è la natura di Dio, è il dono di se commosso che il Mistero fa con la creazione e la redenzione. Noi siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio e diventiamo noi stessi quando amiamo commossi. Gesù ci ha detto che l’amore è la nostra legge, non nel senso moralistico, ma come dinamismo stabile con cui ci realizziamo. È legge come la legge di gravità. È la legge di gravità dell’uomo. Non siamo fatti per il benessere, per star bene, siamo stati fatti per voler bene. E stiamo bene quando vogliamo bene. La carità così è la salvezza della generosità, che è un nostro sforzo, che si stanca e prima o poi passa la fattura!
Scriveva Claudel nella sua opera più bella, L’annuncio a Maria:
Forse che il fine della vita è vivere? (…)
Non vivere ma morire e dare in letizia quel che abbiamo.
Qui sta la gioia, la libertà, la grazia, la giovinezza eterna!
Che vale il mondo rispetto alla vita?
E che vale la vita se non per essere data?
La carità è la bellezza che investe l’io. Quando la bellezza si proietta sulle cose, si chiama arte. La bellezza, come splendore della verità, è il nesso profondo tra carità e arte.
Pensate all’accoglienza agli Innocenti: il bambino accolto in una finestra sopra la quale è scritto: Padre e madre ci hanno abbandonato, il Signore ci ha raccolto. Di là dalla finestra, c’era un presepe a grandezza naturale, opera di Marco della Robbia: Maria e Giuseppe e una culla vuota dove veniva posto il bimbo abbandonato. Quel bimbo era Cristo che nasceva all’ospedale. E di ognuno dei 500mila bambini l’archivio conserva il nome e la storia.
Bernardino Poccetti, un pittore molto celebre e molto fecondo di opere nella Firenze del suo tempo, in vecchiaia, vedovo e senza figli, dal 1610 si stabilì nell’ospedale in cambio della decorazione ad affresco di alcuni locali. Il primo lavoro agli Innocenti del pittore è un grande affresco che occupa per intero la parete di fondo dell’antico refettorio delle bambine, forse l’opera che meglio illustra il significato e la vita dell’Ospedale.
Nella parte sinistra, Erode ordina la strage degli innocenti: la scena è concitata, piena di madri che tentano invano di difendere i loro bambini o ne piangono la morte. Lo strazio della scena è consolato dalla Vergine, che in Paradiso – al centro dell’affresco – accoglie con dolcezza di madre le anime degli innocenti uccisi. Sotto di Lei, si notano delle madri in fuga con i loro figli scampati all’eccidio: le donne giungono al Loggiato dell’Ospedale degli Innocenti, dove i loro bambini potranno trovare sicura dimora.
Nella parte destra del dipinto, alcune scene raccontano la quotidiana vita dell’Istituto: in basso alcune balie allattano i nocentini, mentre altri dormono già nelle culle; dietro di loro, i bambini si apprestano al pranzo in refettorio e, al primo piano, alcuni prendono lezioni di canto, altri sono ordinatamente inginocchiati nel dormitorio per la preghiera della sera.
In primo piano, all’estrema destra, alcune bambine rendono omaggio al granduca Cosimo II venuto in visita agli Innocenti. La figura del Granduca è idealmente contrapposta a Erode: c’è un potere che, perseguitando il bambino Gesù, fa strage di innocenti e un potere che, seguendo Cristo, offre una casa ai bambini abbandonati, salvandoli dai pericoli della strada.
La concitazione tragica della strage si placa quasi miracolosamente nella parte destra dell’affresco, dove la violenza cede alla tenerezza della carità: su tutto domina Maria, come a ricordare il senso positivo di tutto quello che accade. Non c’è soluzione di continuità in questo affresco, tra l’episodio evangelico, il Paradiso e la vita quotidiana dell’Ospedale: sono momenti di una stessa storia che ha come destino l’eterno. Due scalinate dipinte collegano la scena al refettorio, come a unire il grande palcoscenico della storia alla feriale vicenda di un pranzo di bambine all’Ospedale.
Il grande messaggio dell’Ospedale degli Innocenti – nella sua architettura, nel suo patrimonio artistico, nella sua storia secolare – è in fondo un grido di speranza: Cristo ci ha fatto conoscere il volto buono del Mistero che fa tutte le cose. Il desiderio di felicità, che è l’ultima sostanza del cuore di ogni uomo, non è un inganno, ma ha un compimento, anche quando le circostanze della vita sembrano drammaticamente contraddirlo. E il nostro destino ultimo di bene ha un’alba nella storia, in quella misericordia che si piega sulle nostre ferite e persino sul nostro male.
Per questo i fiorentini vollero mettere nel 1875 una lapide sotto la finestra ferrata dell’Ospedale, quando questa venne chiusa:
QUESTA FU PER QUATTRO SECOLI
FINO AL 1875
LA RUOTA DEGLI INNOCENTI
SEGRETO RIFUGIO DI MISERIE E DI COLPE
ALLE QUALI PERPETUA SOCCORRE
QUELLA CARITA’ CHE NON SERRA PORTE.