Monica Mondo è una giornalista collaboratrice stabile del Sussidiario, nota anche grazie alle trasmissioni televisive che conduce da tempo con finezza e competenza.
Anche Mauro-Giuseppe Lepori è persona molto nota, per lo più negli ambienti cattolici, tra gli ecclesiastici, per i numerosi libri pubblicati, per la partecipazione a innumerevoli conferenze, per le sue predicazioni nello stesso tempo impegnative e affascinanti nel corso di molti ritiri spirituali. Nato a Lugano nel 1959, poi vissuto a Canobbio, località poco distante, ha studiato filosofia e teologia nell’Università di Friburgo. Dal 1984 è monaco nella Congregazione Cistercense. Il 2 settembre 2010 è stato eletto Abate generale dei cistercensi.
Dall’incontro tra i due è nato un dialogo – non il primo per la verità – che è stato raccolto nel libro Radici nel deserto. Conversazione sulla fede, sulla Chiesa e sul monachesimo (Tea, 2023).
Le domande che l’autrice rivolge all’illustre interlocutore sono molto dirette, partono spesso dalle curiosità che un lettore qualunque, magari non troppo versato in queste materie, ha sulla vita monastica e sui contenuti stessi della fede cristiana. Esiste il diavolo? E l’inferno? che rapporto c’è tra il mondo e il monastero? Le risposte di padre Lepori non sfuggono alle provocazioni più scottanti, non censurano temi controversi ma nella loro essenzialità partono dal punto di vista di una fede vissuta, consapevolmente meditata e ragionata, e per questo risultano persuasive e, almeno per chi scrive, risolutive. Visto che l’intento non è quello di comporre un trattato di teologia o ascetica per addetti ai lavori, rifuggono da complicazioni dialettiche o da disquisizioni eccessivamente tecniche pur se pregevoli. Il risultato è una specie di abbecedario del cristianesimo che in 125 pagine riesce a sciogliere i dubbi e le perplessità che dilagano nelle nostre società avanzate e così ampiamente secolarizzate.
Nella prima parte, intitolata “Il tempo”, padre Lepori asserisce che nella vita monastica il tempo, scandito dai momenti di preghiera e precisamente regolato – secondo il motto benedettino ora et labora – diventa il luogo dell’incontro con l’eterno, anzi, afferma che il presente, l’istante presente, è l’unico momento che coincide con l’eterno. In un’ottica non religiosa il presente sfugge, in quanto l’individuo rischia di essere sempre proiettato verso il futuro o nostalgicamente rivolto al passato. Così il tempo libero tanto agognato, la vacanza, in realtà spaventa e infatti si cerca di riempire il vuoto improvviso mediante un agire frenetico che tende a riprodurre il tempo del lavoro. Nel monastero la garanzia contro tutto questo è rappresentata dal silenzio, che permette di concentrarsi ad ascoltare l’unica parola, facilita il grido e la domanda, prepara ad accogliere una novità che viene.
La noia non è data dalla ripetitività, ma dal vivere le cose senza senso. Fa compassione, continua l’abate, una società che vive senza poter/voler ascoltare una parola di verità, senza vedere un volto buono. E infatti in essa domina la mancanza di letizia, lo sgraziato: nella moda e nel divertimento col pretesto dell’originalità si arriva all’esibizione del brutto, del volgare, dell’immorale.
La vita ha senso se è al servizio di qualcosa di più grande, non solo del proprio interesse; cosa che ci testimoniano non solo i santi o i martiri, ma anche uomini e donne che consegnano i loro giorni ad un ideale. È necessaria oggi più che mai un’educazione a condividere, a rinunciare a qualcosa per l’altro, mentre vediamo bambini, figli che ricevono tutto e non condividono mai e così promettono di essere adulti affetti da un “protagonismo narcisistico”. La vita monastica certo non assicura automaticamente un’esperienza di felicità, può comportare anche momenti di aridità, ma è un’aridità che domanda l’acqua, che invoca Qualcuno. Attraverso il sacrificio della disciplina, l’obbedienza alla Regola e all’autorità aiutano ad essere sintonizzati con Dio.
Per crescere, dirà padre Lepori nella seconda parte del libro, dedicata allo spazio, è necessario vedere testimonianze vere. Coscienti di essere peccatori, mendicanti, abbiamo bisogno di ricominciare continuamente: Cristo lo vediamo nei testimoni, in chi lo segue, come i santi che sono trasparenti alla Sua bellezza. Per questo nel carisma di san Benedetto non viene disprezzato né censurato ciò che è umano, ma tutto è orientato ad armonizzare il divino con l’umano, lo spirituale con il materiale.
Così, ad esempio, l’impegno alla castità – uno dei voti monastici insieme alla povertà e all’obbedienza, tutti e tre oggi non compresi e molto contestati – non può essere vissuto come una repressione della capacità affettiva bensì come una sua dilatazione in un amore fraterno, più universale.
“Non escludo di essere un cattivo monaco” afferma di sé padre Lepori con inaudita umiltà; eppure il suo stile di vita, il suo insegnamento attirano e confermano nel cammino di fede migliaia di persone, laici e religiosi. Perché il mistero “non è ciò che non si capirà mai, ma ciò che non si finirà mai di capire”.
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