Quante vite si sfiorano in un condominio, nei cui appartamenti ogni famiglia, ogni coppia, ogni persona vive tutto un mondo di emozioni. E proprio questa è la cornice entro cui si svolgono le vicende del romanzo di Andrea Pamparana, Un condominio (Bibliotheka edizioni, 2023). Pamparana, giornalista che ha rivestito incarichi prestigiosi (uno per tutti, quello di vicedirettore del TG5), parte per il suo racconto da una premessa semplice, fantasiosa, ma, ahinoi, plausibile: in un luogo imprecisato del deserto, un giorno, un cammello starnutisce. Lo sputo del cammello ricade sulla scarsa erba di un’oasi, e da lì un nuovo ceppo di un virus respiratorio si propaga da un animale all’altro, sino allo spill-over definitivo e fatale, quello verso l’uomo: così, a poca distanza dalla pandemia da Covid, ecco che un altro virus respiratorio si diffonde in tutto il mondo, causando un secondo lockdown. La vita di tutti viene nuovamente sconvolta, e Pamparana, attraverso l’osservatorio costituito dal microcosmo condominiale, ci mostra tutte le possibili declinazioni che può assumere, nella vita quotidiana, una pandemia, che porta con sé paura, rischio di contrarre una malattia potenzialmente mortale, limitazione della libertà di movimento, esplosione di tensioni familiari altrimenti sopite.



Ci troviamo in un una città non precisata del Nord Italia: in un condominio di periferia abitano inquilini fra di loro diversissimi, e tutti, per motivi diversi, si ritrovano la vita sconvolta dal nuovo virus dello “sputo del cammello”. Per esempio, il dottor Castaldi, psicoterapeuta, non solo deve ricominciare a colloquiare con i suoi pazienti in videochiamata, ma non può nemmeno più incontrarsi con l’amante. Certo, c’è sempre la possibilità di vedersi attraverso lo schermo di un pc. La cosa, però, oltre a essere un pallido succedaneo degli incontri clandestini cui i due fedifraghi si sono abituati, rappresenta anche un bel rischio: e quando la moglie di Castaldi scopre la tresca, sono dolori. Sempre a pianoterra, c’è lo studio del dottor Biraghi, medico di base valido e coscienzioso, avvilito dalla progressiva burocratizzazione del lavoro. Accanto allo studio medico abita Luigina Berti, vedova Bonomelli, maestra in pensione, mentre al secondo piano abitano i Guzzetti: il paterfamilias, Luigi, carabiniere in pensione, è un uomo all’antica, angustiato per la figlia Mariuccia, lasciata alla vigilia del matrimonio dal fidanzato Mirko; ci sono poi Antonio Galimberti e la moglie Vera, una coppia da sempre indicata dagli altri condomini con il tenero appellativo de “gli sposini”, anche se in realtà i due stanno per festeggiare il dodicesimo anniversario di matrimonio e sono angustiati, soprattutto Vera, per la mancanza di figli. Accanto agli “sposini” vivono i Ruberti, padre, madre e tre figli adolescenti, mentre al terzo piano abitano gli Agostinelli: Giovanni, guardia giurata, e la moglie Gilda, infermiera al policlinico locale. Insieme alla figlia Martina formerebbero una famiglia felice, se non fosse che la ragazza, sedici anni, è anoressica.



Al terzo piano abita anche il signor Giorgio Cerutti, detto Gino, come il protagonista della canzone di Gaber, che si fa chiamare Cavaliere: ferroviere in pensione, ha un unico figlio, che vorrebbe che il padre si ritirasse in una RSA, così da poter mettere le mani sull’appartamento di lui. E soprattutto, il Cavaliere cela un segreto, che ha a che fare con la moglie, morta da anni. Inoltre, al terzo piano c’è anche il solo appartamento in affitto dello stabile: qui vive la signorina Martelli, la donna più chiacchierata del Condominio 19. La signorina Martelli di nome fa Melinda: ma questo per i maligni altro non sarebbe che un nome d’arte, dato che la ragazza, ufficialmente wedding planner, ossia organizzatrice di matrimoni, in realtà sarebbe una escort. La sua casa è di proprietà del dottor Pistocchi, l’amministratore del condominio, e la ragazza spesso si vede in compagnia del figlio del Pistocchi, Guglielmo, sulla fuoriserie fiammante del ragazzo.



Al quarto piano abita la signora D’Egidio, anziana e distinta pianista, oggetto di discussione nelle assemblee condominiali, sia per quanto riguarda l’inquinamento acustico, sia per la fissazione per il cavolo bollito, che l’anziana signora cucina ogni giorno, e il cui profumo (secondo lei), o lezzo (secondo gli altri inquilini), si diffonde per tutto il quarto piano e in tutto il caseggiato. Altro inquilino è Giacomo Repetti. Scapolo, di professione ottico, gestisce uno storico negozio alla periferia della città, e ha mille interessi, da uomo poliedrico qual è. L’ultimo appartamento è di proprietà di una coppia benestante, i Toninelli, spesso fuori città: esperti velisti, hanno fatto di questa passione il loro lavoro, organizzando brevi crociere per ricchi turisti appassionati di paesaggi marini.

Tutte queste storie si intrecciano e vengono stravolte dal virus, in modo imprevisto: chi l’avrebbe mai detto che tra due persone diversissime come Melinda e il Cavaliere, che in comune sembrano avere solo la passione per il caffè – rigorosamente preparato nella vecchia Bialetti –, potesse nascere un’amicizia solida e sincera? Oppure, chi penserebbe mai che la vellutata di cavolo dall’odore pestilenziale della signora D’Egidio diventi il comfort food di Martina? E chi se la sarebbe mai aspettata la rivelazione finale a proposito di Melinda (sulla quale non vi anticipo nulla)?

C’è poi un ultimo personaggio, che prende la parola nel capitolo 31, cui è demandato, in fondo, il compito tirare le somme su tutte le storie che si intrecciano nel caseggiato: è Sim, il silenzioso giardiniere, che si occupa, efficiente e leggero come un’ombra, del verde condominiale. Sim non è il suo vero nome, ma una abbreviazione, perché il suo nome è talmente lungo che metterebbe in crisi i condomini italiani. Anche quest’uomo, che svolge il suo lavoro umile e faticoso, e su cui spesso, come accade nella realtà, i condomini, tutti presi dalle loro vicende e problemi, non hanno nemmeno il tempo di alzare lo sguardo, ha una storia, e che storia: maestro elementare, costretto a lasciare la sua patria – un Paese dell’Estremo oriente – dopo una catastrofe naturale, ha dovuto ricominciare da zero, inventandosi un lavoro che non era il suo in una nazione straniera, dove tutti ignorano la sua cultura, la sua profondità di pensiero, la sua sensibilità.

Eppure, riflette Sim nell’ultima pagina del romanzo, dietro a quel “bene” distratto che risponde, quasi per automatismo, quando qualche condomino appena più gentile degli altri gli chiede come stia, c’è tutto un mondo di pensieri e riflessioni; altro che “bene”, dovrebbe rispondere! “Male”, anzi, malissimo, sarebbe la risposta più appropriata: perché, anche a distanza di anni, gli mancano il suo Paese, i suoi bambini coi loro poveri quaderni, sufficienti però a renderli orgogliosamente studenti proiettati verso il futuro. Anche agli occhi di quei bambini, ormai cresciuti e tanto lontani, Sim è solo un’ombra, come lo è per gli inquilini del civico 19: un testimone, un osservatore silenzioso delle esistenze altrui, che non ha nemmeno avuto la fortuna di essere protagonista della storia in cui compare.

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