Per capire meglio la figura di Pier Paolo Pasolini vale la pena guardare il suo esperimento cinematografico del 1963, intitolato La rabbia. Nella prima parte possiamo vedere una rassegna di immagini dell’epoca, che variano dall’invasione russa in Ungheria alla rivoluzione cubana fino ad altri fatti di cronaca che tennero banco in quegli anni nella cronaca mondiale. In questo modo Pasolini spiegò indirettamente una sua famosa frase. “Il male della vita è libero. Esso può rovesciarsi dal cielo secondo le vecchie abitudini dei millenni nel sonno dei continenti”. Ma cosa intendeva Pasolini? “In Italia c’è una piccola borghesia, e per questo c’è solo una piccola rabbia” diceva proprio Pasolini in un’intervista nell’anno in cui uscì il documentario. “Ma avendo avuto la Resistenza, che è stata una grande rabbia organizzata, ogni rabbia assume oggi le vesti dell’ideologia o della rivoluzione. Non esiste un’altra rabbia, non ci sono gli arrabbiati puri, i beatnik. L’arrabbiato ideale, sublime per me era Socrate”.



Eppure, attraverso immagini così violente a un certo punto lo scrittore e regista friulano inserisce Marilyn Monroe. Scorrono le immagini dell’attrice morta appena l’anno prima. Si vede anche lei da bambina. Le immagini che scorrono sullo schermo di una Marilyn sorridente e felice fanno da contraltare quelle sulla guerra e sulle bombe atomiche. Quasi che Pasolini voglia ribadire agli spettatori che l’unica salvezza del mondo sono la bellezza, l’innocenza e l’umanità. Del resto chi era Pier Paolo Pasolini?



Nella memoria della cultura contemporanea si potrebbero ottenere risposte contraddittorie di fronte alla figura di un intellettuale che, nella sua vita, è stato amato ma anche odiato. In realtà, in un periodo di conformismo come quello che viviamo, un intellettuale come Pasolini risulterebbe scomodo anche in questi anni. Non a caso viene spesso volutamente dimenticato per le sue analisi critiche, che permetterebbero a noi di capire meglio anche il presente. Il mondo in cui viveva Pasolini era quello dove ci si illudeva del trionfo della pace e ci si piegava davanti anche alla “guerra fredda”, per il cosiddetto “boom economico” e per le conquiste scientifiche che apparivano sempre più sofisticate. Di fronte a questo ottimismo acritico, Pasolini vedeva più in là e argomentava le sue critiche verso una società che perdeva umanità. “Il male della vita è libero. Esso può rovesciarsi dal cielo secondo vecchie abitudini dei millenni nel sonno dei continenti”, una frase quindi che richiama con grande realismo alla condizione umana. Difficile trovare una simile immagine di un mondo dove il male non solo esiste, ma è una parte fondamentale, di cui ci si dimentica di accorgersi per una “sonnolenza indotta dal potere” che mira ad addormentare la maggior parte dell’umanità.



È una frase di rassegnazione? Non del tutto. È innanzitutto la considerazione di una vita vissuta. Nato nel 1922, Pasolini aveva visto l’orrore della guerra. Suo fratello minore Guidalberto Pasolini, detto Guido, nome di battaglia Ermes, era un partigiano italiano. Morì appena diciannovenne nei fatti legati all’eccidio di Porzûs, tragico e controverso episodio della Resistenza italiana in cui diciassette partigiani delle Brigate Osoppo furono trucidati da un gruppo di partigiani comunisti appartenenti alle Brigate Garibaldi per motivazioni politiche non legate alla lotta contro il nazifascismo. Il dolore di Pasolini fu immenso, ma il suo percorso non rinnegò la parte non ideologica della cultura marxista. La scelta di stare vicino agli ultimi, agli umili, lo divideva profondamente da una classe borghese senza alcuna capacità critica e dedita solo a un assurdo consumismo. Pasolini era iscritto al Partito comunista italiano e ne fu espulso perché omosessuale. Questa sola vicenda umana personale poteva giustificare disperazione e anche ribellione. Venne ucciso brutalmente sulla spiaggia di Ostia il 2 novembre 1975.

Nonostante tutta questa sua sofferenza, Pasolini interpretava due altre importanti figure: quella del profeta e quella del corsaro. In realtà Pasolini era ed è ancora probabilmente l’unico intellettuale eretico che ha profetizzato dove sarebbe finita l’Italia di oggi e lo stesso mondo, se si pensa alle guerre da cui siamo circondati. Profetico ma nemmeno irreggimentabile nella parte politica alla quale sentiva e dichiarava di aderire. La sua profezia si basava e si basa ancora soprattutto sul merito di aver compreso con largo anticipo come sarebbe diventata la società italiana. Quale sarebbe stata la tendenza omologante dei media italiani (stampa e televisione). Come anche la stessa cultura ne sarebbe stata contaminata e depotenziata. Con i suoi romanzi e i suoi film ha celebrato una realtà che molti fingevano di non vedere, quella delle stridenti disparità sociali, dell’ingiustizia elevata a potenza. Quella in cui il potere spingeva verso una funzionale ignoranza di ritorno delle masse. In molte delle criticità della società attuale si possono riscontrare le sue previsioni. Il potere non può tollerare la capacità critica. Preferisce una “folla solitaria”, che neppure si interessa di quello che accade nel mondo e nemmeno discute.

Ma Pasolini non era solo un profeta, era anche un corsaro che non risparmiava di gettarsi in battaglia contro tutte le “false bandiere perbeniste e conformiste”. A chi gli chiedeva perché facesse tutto questo malgrado il suo pessimismo, rispondeva: “un minimo di speranza l’ho ancora altrimenti me ne sarei già andato”. Fino al giorno della sua morte sperò che i continenti non si addormentassero.

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