Di solito la storia viene presentata come una serie di eventi e azioni legate dal nesso causa-effetto, considerato come il nodo fondamentale della spiegazione storica, oppure è presentata come una dimensione governata dal movimento di grandi processi sociali, economici, politici e (talvolta, almeno secondo i più raffinati intellettuali) anche culturali.
Ma fare storia non è osservare semplicemente il dinamismo dei grandi processi della realtà, bensì cogliere il dinamismo dell’umano nella realtà. “Non si ricordano i giorni, si ricordano gli attimi”, ci ricorda Pavese nel Mestiere di vivere e coglie bene il senso della svolta che caratterizza gli avvenimenti storici. È l’attimo che scalfisce l’animo dell’uomo, è in un istante che la nostra vita affettiva compie una svolta, sono sempre brevi momenti quelli in cui la libertà, anche di fronte a condizionamenti economici e sociopolitici schiaccianti, decide di iniziare un progetto di vita personale e/o collettivo alternativo al dato del presente.
Questo attimo che ricordiamo come inizio di una svolta è sempre connesso a un imprevisto, a un accadimento in cui il reale mostra la sua eccedenza rispetto agli schemi concettuali del pensiero.
Se la storia è l’avventura della vita nella ricerca di un senso intorno a cui costruire legami e organizzare strutture e non un semplice insieme di fatti e accadimenti (che da soli non riescono ad interessare i nostri studenti, come mostra la crisi dell’insegnamento della storia), occorre non dare per scontato il valore dell’attimo e dell’imprevisto nella dinamica storica.
Ma cos’è allora l’imprevisto nella storia? È quanto si impegna a esaminare l’ultimo numero di LineaTempo dedicato proprio a L’imprevisto nella storia e nelle storie.
“L’imprevisto è ciò che accade nella nostra vita personale e comune come qualcosa che non solo non ci aspettiamo, ma che, tante volte, viene a scombussolare i nostri piani, i nostri tentativi di possedere i termini del nostro agire, delle nostre previsioni. Può sbaragliare sicurezze, mettere in crisi percorsi consolidati, aprire orizzonti inimmaginati. Può essere costituito da fattori apparentemente irrilevanti (come una vite saldata male in un missile che esplode); o casuali, come la nebbia che scende e impedisce di intraprendere una battaglia sentita come decisiva (quante volte accadde nel passato?) o da microelementi che mandano in tilt nazioni e popoli interi: come l’ultima pandemia. Anche a livello personale la dinamica non cambia: pensiamo, progettiamo, organizziamo e poi… qualcosa va storto, cioè, in un senso diverso da come avremmo immaginato e voluto. Può succedere anche al positivo; accade qualcosa che ci sorprende: arriva un aumento di stipendio, desiderato, ma insperato”.
Questo incipit del saggio di Daniele Semprini che apre il Dossier sul tema mette a fuoco sul piano esistenziale come l’imprevisto faccia parte normalmente della dinamica dei fatti e costituisca per così dire il tessuto ontologico della realtà. Questo naturalmente non mette in questione l’importanza del riferimento alle “strutture” per comprendere la globalità dell’esperienza storica dell’uomo, per cui il corso degli eventi è fortemente condizionato dal lento movimento di macrostrutture (economiche, sociali ecc.). Ma vuole sottolineare il fatto che l’andamento storico è costituito da eventi, dall’accadere continuo di fatti, spesso rapidi e anche fortuiti che influiscono sullo scenario complessivo.
Quel che va recuperato oggi per evitare il rischio di attualizzare la storia in modo ideologico (e tanti esempi recenti vengono in mente, dalla “degenerazione” di romanzi storici ridotti a romance, a fiction “storiche” che per stupire lo spettatore alterano gli stessi dati storici di riferimento, per non parlare dei tanti manuali privi di senso della narrazione) è quindi la centralità della probabilità e dell’imprevisto come fondamenti del metodo storico e dell’insegnamento della storia, come documenta il saggio di Fabrizio Foschi.
La storia illustrata secondo questa prospettiva permetterebbe poi di superare certi schemi “retorici” di presentazione dei grandi eventi del passato, come può accadere al diffuso modo “moralistico” di presentazione della Shoah e dello stesso fenomeno di resistenza “umana” a esso da parte dei Giusti, come evidenzia Antonia Grasselli in una nota in cui propone un nuovo approccio al fenomeno sulla scia di questa osservazione di Gabriele Nissim: “Dobbiamo abituare i ragazzi a essere come degli Sherlock Holmes che, passo dopo passo, si mettano alla ricerca del segreto personale che ha spinto degli esseri umani a mettersi in gioco per la salvezza dell’altro”.
Ma è nella verifica della valenza ermeneutica della categoria dell’imprevisto nella concreta analisi storica che si può comprendere la validità della pista di lavoro aperta dalla rivista. Le esemplificazioni presentate infatti mostrano bene alcune tra le più intriganti sfaccettature che il tema dell’imprevisto gioca nella ricostruzione storica: in primo luogo esaminando un caso da “manuale” di imprevisto (almeno secondo i manuali scolastici) come la diversione della IV Crociata, che ha portato, invece che alla liberazione di Gerusalemme, alla conquista (e al saccheggio) di Costantinopoli da parte degli occidentali, ingenerando una frattura irreversibile con il mondo bizantino.
Lo storico Nicola Naccari, dopo un’attenta disamina di tutti gli elementi che hanno concorso alla presa di Costantinopoli nel 1204, risponde provocatoriamente alla domanda finale sull’imprevedibilità del fatto: “Forse lo diventò nella sua interpretazione a posteriori, poiché se, da un lato, non possiamo trattarlo come un fatto totalmente imprevisto o un evento sicuramente prevedibile, d’altro canto, storicamente parlando, è da notare che ci furono allora tutte le condizioni per cui la presa di Costantinopoli potesse diventare un accadimento prevedibile”.
Se l’analisi storica puntuale può ridimensionare gli aspetti imprevedibili della dinamica storica, al contrario la mancata considerazione della valenza euristica dell’imprevisto nella storia può comportare un corto circuito interpretativo che rende quasi impossibile illuminare lo spessore reale di un periodo storico, come ha cercato di evidenziare il saggio dedicato dallo scrivente alla delineazione dei tratti fondamentali delle risposte antropologiche alle svolte della storia del mondo occidentale dalla caduta del muro di Berlino nel 1989 a oggi.
In Attraversare il nichilismo contemporaneo in prospettiva storica viene infatti mostrato come l’imprevisto sia il fattore che potrebbe rompere lo schema intellettualistico con cui si è letto, da destra e da sinistra, lo sviluppo della civiltà occidentale alla fine del Novecento: “Con la svolta dell’89 le due principali idee dell’Occidente nell’Otto-Novecento subiscono una trasmutazione: da una parte l’idea di progresso e di rivoluzione (che avrebbero dovuto emancipare l’uomo, consentendogli di travalicare i propri limiti terreni) sembrano infatti esaurite, dall’altra la visione storicistica della storia permane e sembra confermare che il nichilismo come pensiero debole sia l’atteggiamento vincente. Si pensava che la storia dovesse procedere verso un indebolimento dell’essere, della verità (e delle ideologie) nella convinzione che queste contenessero in sé una forma di violenza. E che, dalla sua diminuzione, ogni genere di contrapposizione sarebbe venuta meno. Il che avrebbe comportato la diffusione della pace globale e la soluzione a tutti i mali del mondo. Il nichilismo rappresenta quindi l’estremo tentativo di salvare qualcosa dello spirito del Novecento”. Il nichilismo oggi così diffuso (e che assume i contorni di un nichilismo passivo, ben lontano dal nichilismo eroico di Nietzsche) si mostra di fatto, oltre che inefficace motore di mutamenti storici positivi e procacciatore di false illusioni, consentaneo alle pretese di ogni filosofia della storia, che ritiene che con la filosofia si possano dominare, controllare gli eventi.
Le imprevedibili “crisi” del 1989, del 2001, del 2008 e dell’attuale pandemia sono invece il segnale per rivedere le categorie con cui guardare il dinamismo storico-culturale (come profeticamente aveva indicato papa Francesco, quando ha affermato che la realtà è più grande dell’idea) e per aprirsi a un nuovo umanesimo capace di affrontare le sfide socio-culturali della ripartenza, dalla digitalizzazione alla sostenibilità, dalla costruzione di un’autentica democrazia alla lotta contro le crescenti disuguaglianze sociali.
È giunto il momento di riprendere seriamente in considerazione come principio euristico per la lettura del presente quanto affermato da Vaclav Havel dopo la caduta del socialismo reale nell’Est Europa: “Il disordine della storia, a lungo represso da un ordine artificiale, improvvisamente viene a galla”. Considerare la storia come luogo del disordine non significa però affermare che la realtà sia caos, né che la storia umana sia il regno dell’anarchia. Significa avere consapevolezza che quel che noi sappiamo e che progettiamo o immaginiamo per migliorare il nostro futuro è importante e va perseguito realisticamente, ma ciò che c’è, ciò che accade e può accadere è sempre di più.
Riconoscere il carattere “ordinario” dello “straordinario”, dell’imprevisto, comporta sia il riconoscere che l’imprevisto non è l’eccezione che conferma la regola, sia prendere coscienza che non si può abdicare alla responsabilità di noi uomini.
È questa la prospettiva con cui lo storico David Salomoni esamina l’impresa di Magellano: la prima circumnavigazione del mondo. L’accurata e sintetica presentazione dell’impresa (frutto di un ampio lavoro di ricerca che si trasformerà presto in un libro delle edizioni Laterza) è interfacciata da una serie di riflessioni sul piano del metodo storico che mostrano la “rivalsa testarda dell’umano”, ovvero che di fronte alla domanda “se le grandi torsioni della storia siano determinate da singoli individui, capaci di interpretare meglio di altri i segni dei tempi … o se tali personalità siano state il prodotto di quei momenti storici”, “la risposta, ritengo, e anche questo potrebbe essere un utile oggetto di riflessione in ambito didattico, è che sono vere entrambe le affermazioni”.
L’imprevisto, insomma, non elimina il fattore umano né l’importanza dello studio delle condizioni materiali, economiche, tecnologiche ecc. di un’epoca, ma permette di individuare l’imprevedibilità del bene, che è fattore propulsivo della storia. Salomoni lo mostra efficacemente evidenziando tutte le casualità e gli imprevisti (anche in senso negativo) che hanno accompagnato l’impresa (tra cui la stessa morte del protagonista, e compresa l’amicizia di Magellano con il navigatore Serrão, importante per l’elaborazione del progetto di circumnavigazione).
Nella parte conclusiva del suo saggio Salomoni può così affermare: “Cosa ha a che vedere l’imprevisto con tutto ciò? L’aspetto centrale, ritengo, va cercato nella relazione tra i due amici: Ferdinando Magellano e Francisco Serrão. La loro amicizia, il loro rapporto umano, consolidato negli anni della dura militanza a migliaia di chilometri da casa ebbe una ripercussione determinante sugli sviluppi della vicenda personale di Magellano, su quelli politici delle monarchie di Spagna e Portogallo, e in ultima istanza sulla storia europea. Il rapporto di amicizia tra i due, la progettualità scientifica e geografica che i due uomini svilupparono malgrado la distanza, fu in questo caso l’elemento propulsore di uno dei viaggi di esplorazione più importanti del Rinascimento. L’elemento imprevisto, in questo frangente, è centrale, e rimanda all’importanza del fattore umano nelle vicende storiche. In questo caso è l’amicizia che diventa produttrice di eventi. L’amicizia può cambiare il corso della storia. È un imprevisto, che sfugge a qualsiasi considerazione di carattere strutturale”.
Ecco, considerare il ruolo dell’imprevisto nella dinamica della storia permette di comprendere più in profondità il valore del fattore umano nelle svolte storiche.
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