Giusto un secolo fa, nel 1924, Thomas Mann pubblicava La montagna incantata, romanzo ambientato nella cittadina svizzera di Davos, tra le vette imbiancate, in un sanatorio dove i ricchi e i potenti di allora si curavano per guarire dalla tubercolosi. Pochi ci riuscivano, e i morti venivano portati via di nascosto, dall’uscita sul retro. Una potente e poetica metafora della decadenza dell’Europa. Oggi quel sanatorio è stato trasformato in hotel, e nella stessa lussuosa località sciistica delle Alpi svizzere, nel canton Grigioni, dall’inizio degli anni Settanta si tiene il summit dei ricchi e potenti di oggi, il World Economic Forum (WEF), per “guarire” i mali del mondo: povertà, fame, guerre, crisi ambientale (presunta o reale che sia). Ma nemmeno dopo 54 edizioni questi problemi sono stati risolti. Cresce solo il livello di allarme: il WEF prevede che entro il 2050 il cambiamento climatico potrebbe causare 14 milioni e mezzo di morti. La ricetta è sempre la stessa, dai tempi del Club di Roma: riduzione delle emissioni ricorrendo a fonti energetiche alternative e crescita zero, perché le risorse naturali sono limitate. Sotto accusa l’uomo, perché è l’essere umano che minaccia il pianeta; si deve correre ai ripari, è già troppo tardi. Ma siamo sicuri che sia proprio così?



Fabio Dragoni, un “bocconiano che non si dà pace per un’economia disumana”, ci rassicura. E in un suo pamphlet zeppo di numeri e dati censurati o poco noti, offre stimolanti riflessioni Per non morire al verde (questo il titolo del libro, edizioni Il Timone, 2023), consapevole che si deve “salvare l’uomo per salvare il pianeta”. Dragoni parte dagli allarmi eco-catastrofisti: spesso in contraddizione tra di loro, sono stati tutti smentiti. Nel 1971 il Washington Post scriveva, citando autorevoli scienziati, che era “in arrivo una nuova era glaciale”. Nel 1989 l’Associated Press rilevava che “intere nazioni potrebbero essere spazzate via a causa dell’innalzamento del livello del mare, se il trend del riscaldamento globale non viene invertito prima del 2000”. Un giornale australiano, The Canberra Times, nel 1995 paventava che entro il 2020 “molte delle spiagge della costa atlantica degli Stati Uniti saranno scomparse”. Nel 2009 il politico americano John Kerry, presidente della Commissione Esteri del Senato, annunciava: “fra cinque anni avremo la prima estate artica con lo scioglimento dei ghiacciai”. Il 23 novembre 2020, per questa sue doti di preveggenza, il presidente Joe Biden lo designerà “inviato speciale per il clima”, e in questa veste ha partecipato a varie conferenze dell’ONU.



Kerry è in buona compagnia, perché anche il vicepresidente Al Gore sosteneva che entro il 2014-2016 si sarebbe sciolta “l’intera calotta polare”. Peccato che otto anni dopo sia ancora lì. Il Daily Mail giustamente l’ha definita la “leggenda dello scioglimento artico”, anche perché nel frattempo una superficie enorme, il doppio dell’Alaska, in due anni si è ricoperta di ghiaccio. Anche al Polo Sud in dieci anni (2009-2019) l’area ghiacciata è aumentata, sia pure di poco: 5304 kmq, pari alla Liguria.

Se passiamo al riscaldamento globale Dragoni, sempre ben documentato, mette insieme una serie di dati non credibili. Rimanendo ai Poli, il Polo Sud si starebbe riscaldando tre volte più velocemente rispetto al resto del mondo (CNN, 29 giugno 2020); ma è battuto dal Polo Nord, che invece si starebbe riscaldando quattro volte tanto rispetto al resto del mondo (Reuters, 15 settembre 2020). È una gara tutti contro tutti a chi si riscalda di più: in anni diversi si scaldano due volte più del resto del mondo l’Australia (2015), la Cina (2015), la Finlandia (2015), la Svezia (2019), la Norvegia (2019), il Sudafrica (2021), il Medio Oriente e il Nordafrica (2022), il Nord America (2017). L’elenco è lungo. E dal 1998 in poi, quasi ogni anno è stato “l’anno più caldo di sempre” rispetto a quello precedente.



In realtà non c’è affatto la certezza che la  temperatura della Terra stia effettivamente aumentando, come recita il mantra che ci viene propinato. Le osservazioni rilevate oggi non sono confrontabili con quelle di trent’anni fa, figuriamoci a distanza di secoli. Sono cambiati gli strumenti e il metodo di raccolta dei dati, le stazioni meteorologiche sono circondate dal cemento, le temperature non vanno prese al suolo. Tanti fattori di cui tener conto. Quanto al confronto col passato, “un team di ricerca internazionale guidato dagli scienziati del CNR ha determinato che tra 1500 e 2000 anni fa, durante il periodo della nascita, ascesa e caduta dell’Impero romano, il Mar Mediterraneo era molto più caldo di oggi”. Ma non ci sono stati sfracelli. Né ci saranno ora, posizione sostenuta da studiosi seri come Zichichi e Rubbia. Infondato che il 99,9% degli scienziati sostenga le tesi eco-catastrofiste: è una percentuale completamente inventata. Grottesco l’allarme lanciato il 27 luglio 2023 da António Guterres, segretario dell’ONU, a cui non basta più parlare di “riscaldamento globale”. Meglio dire “ebollizione globale”, ha pontificato. “L’aria è irrespirabile. Il caldo insopportabile”. 47 giorni dopo insiste e alza l’asticella: “Il collasso climatico è iniziato”.

Se fosse tutto vero, altro che eco-ansia! Ma non è così. Il pregio di Dragoni è aver smantellato uno per uno i dogmi (è una vera religione) dell’ambientalismo radicale, dal valore salvifico delle fonti di energia alternative, fino all’idolatria per le auto elettriche, toccasana di tutti i mali. Ma non si può credere di dare al mondo tutta l’energia che serve con le pale eoliche, mulini di acciaio e cemento che deturpano il paesaggio. Un paesaggio dove il verde non manca, ma aumenta, altro che deforestazione. L’auto elettrica viene definita il top del “gretinismo” ecologista perché non è affatto amica dell’ambiente. Secondo uno studio della Ricerca ambientale svedese una batteria Tesla (una), ancor prima a di lasciare la fabbrica ha già emesso nell’atmosfera 17,5 tonnellate di ossido di carbonio, equivalente a ben otto anni di emissioni di un’auto circolante a benzina o diesel. Per non parlare dei costi: l’auto elettrica sarà un lusso per i ricchi, scordiamoci la mobilità privata come l’abbiamo conosciuta finora. E che dire della direttiva europea che impone che entro una decina d’anni tutti gli edifici siano in classe energetica D? Una norma irrealizzabile: ci vorranno secoli, con una spesa stimata di 1.400 miliardi di euro. Ma immaginiamo per assurdo di riuscirci: che risultato avremmo ottenuto? Se grazie all’operazione di efficientamento imposta dalla UE fossero abbattute in Italia le emissioni degli edifici, queste costituirebbero lo 0,88% delle emissioni totali.

Ultima perla tratta dal pamphlet (una miniera di sorprese): puntando ai pannelli solari, per soddisfare anche solo metà del fabbisogno di energia dovremmo coprire di pannelli fotovoltaici tutto il Centro-Nord Italia. Con costi proibitivi. Insomma, un’agenda dei sogni che non centrerà gli obiettivi ma avrà come esito sicuro l’impoverimento e la perdita di competitività a vantaggio di economie che hanno già conquistato spazi enormi, come quella cinese. La soluzione di Dragoni è semplice: occorre con misure e scelte appropriate e intelligenti adattarsi al clima che cambia, come si è sempre fatto, non pretendere di dominarlo come novelli danzatori della pioggia. E infatti il Forum di Davos ha ospitato un inquietante rito tribale e pagano, ignorato dai media: la sciamana Putanny Yawanawà ha eseguito degli incantesimi, al temine dei quali ha soffiato con forza sulle teste degli illustri presenti (compresi l’amministratrice delegata del Fondo Monetario Internazionale e il presidente della Banca Mondiale), garantendo che “quando ci uniamo nei nostri pensieri e nei nostri cuori, la nostra Madre Terra ci ascolterà”. Auguri.

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