È usuale nelle crisi politiche cercare esempi, modelli e somiglianze in vicende e protagonisti della storia: capita allora che si tenda ad appiattire il passato per adattarlo al presente, specie se sono in gioco personalità complesse e controverse e opposizioni ideologiche. Così è successo di trovare in un diffuso giornale riferimenti ad un accumulo di uomini romani in ordine cronologico sparso, condottieri, re, giovani nobili dal breve destino e imperatori variamente e confusamente citati; mentre in anni non troppo remoti sono state cercate analogie fra il leader di un partito di centro e il primo stratego ateniese Pericle.



Proprio Pericle torna ora ad essere visto, accanto ad altri personaggi quali i triumviri romani, come riferimento per una o l’altra delle figure emergenti sulla scena italiana. Certo fu una personalità interessante, protagonista dei cinquant’anni più importanti della storia ateniese, continuamente rieletto fra i dieci strateghi, l’unica magistratura elettiva della città; creatore della lega delio-attica, l’alleanza fra buona parte delle città greche; fautore della creatività artistica, dell’abbellimento dell’Acropoli. Ma fu per lo meno corresponsabile della guerra con il blocco spartano, per motivi che gli storici antichi presentano con molte sfaccettature, guerra che terminò molti anni dopo con la rovina di Atene: lo stratego peraltro ne vide solo il primo anno, in quanto fu tra le vittime della pestilenza che indebolì la città.



Personaggio quindi controverso, discusso e discutibile, ma di grande prestigio e importanza storica. Ci interessa qui ricordare un suo intervento, perché è l’espressione non tanto di un personale progetto politico, quanto della condivisione di una tradizione riferita a tutta la città e la sua storia: un discorso che ci sembra di grande attualità, pur con ciò che può avere di utopistico e di soggetto ai limiti umani.

Poco prima dello scoppio della  peste e della conseguente scomparsa del leader, si svolse ad Atene una cerimonia per ricordare i morti del primo anno di guerra. Lo storico Tucidide ricostruisce l’Epitafio, il discorso che Pericle, in quanto primo stratego, pronunciò in quell’occasione. Ne vediamo qualche punto.



Anzitutto l’elogio della democrazia, creazione ateniese formatasi gradualmente nel corso di alcuni decenni: “Abbiamo una forma di governo che non imita le leggi dei vicini, in quanto siamo più di esempio ad altri che imitatori. E poiché è retta in modo che i diritti civili non spettino a pochi, ma alla maggioranza, si chiama democrazia (potere del popolo)”. La libertà di scelta nella vita privata e il rispetto nella vita pubblica, verso le persone in carica e verso leggi scritte e non scritte ma condivise: “Senza danneggiarci esercitiamo liberamente i rapporti privati e nella vita pubblica il rispetto ci impedisce di violare le leggi, in obbedienza a coloro che di volta in volta sono al comando e alle leggi poste a difesa di chi subisce ingiustizia, in particolare a quelle che pur non essendo scritte portano a chi le infrange una vergogna da tutti riconosciuta”. L’importanza della partecipazione alla vita politica: “Riuniamo in noi la cura degli affari pubblici insieme a quella degli affari privati, e se anche ci dedichiamo ad altre attività, pure non manca in noi la conoscenza degli interessi pubblici. Siamo i soli, infatti, a considerare non ozioso ma inutile chi non se ne interessa, e giudichiamo o almeno ponderiamo convenientemente le varie questioni, senza pensare che il discutere sia un danno per l’agire, ma che lo sia piuttosto il non essere informati dalle discussioni prima di entrare in azione” .

Altri aspetti sono presi in considerazione: l’amore per la bellezza e per la sapienza, oggetto di critica da parte degli oppositori Spartani in quanto considerato una forma di debolezza; inoltre la tendenza a dare aiuto “senza timore, non tanto per aver calcolato l’utilità del beneficio quanto per la fiducia che abbiamo negli uomini liberi”. Anche l’accoglienza trova il suo posto: “Offriamo la nostra città in comune a tutti, e non accade che, cacciando gli stranieri, impediamo a qualcuno di  imparare o di osservare”.

Qui dobbiamo vedere soprattutto la situazione di guerra in cui si trova la città, per cui l’accoglienza comporta la possibilità di far conoscere e apprezzare lo stile di vita e le caratteristiche di Atene stessa, anche a rischio che vi sia un danno d’immagine o un indebito spionaggio; ma al di là della situazione contingente va notato che il vanto dell’accoglienza attraversa molta parte della letteratura dell’epoca, soprattutto delle tragedie: i supplici di diverse vicende mitiche, dalle spose dei morti sotto Tebe ai figli di Eracle ad Edipo mendico, ricevono accoglienza e protezione da parte dei sovrani della città o, come le Danaidi, da un’assemblea popolare di età remota in cui la città si trasfigura.

La sintesi del discorso è la certezza che Atene sia maestra per il resto della Grecia: un elogio su cui si può discutere, ma forse qualcosa da imparare l’abbiamo anche noi.