Nel nostro tempo si fa sempre più evidente come la fine della Guerra fredda, lungi dall’aver costituito l’ingresso in un mondo di pace, abbia fatto riesplodere antiche tensioni che covavano sotto la coltre del bipolarismo di qua e di là da quella cortina di ferro che, durante la seconda guerra mondiale, si andava definendo attraverso la Conferenza di Teheran del 1943, l’accordo di spartizione delle aree di interesse tra Stalin e Churchill del 1944 e la conferenza di Yalta del 1945. Dentro all’attuale contesto di nuovi conflitti a effetto domino, diventa allora interessante ritornare sulle tensioni covate sotto le ceneri nell’Europa di settant’anni di pace “congelata”, le cui radici stanno nella guerra stessa.



L’ultimo volume di Tommaso Piffer, Il fronte segreto. Gli Alleati, la Resistenza europea e le origini della guerra fredda 1939-1945 (Mondadori, 2024) si rivela molto utile per scavare in questa direzione, a patto che si sia disposti a lasciarsi guidare nel labirinto di un puzzle estremamente complesso, dal quale emergono via via le diverse tensioni militari e i problemi politici che si posero sul terreno dinanzi alle potenze alleate conto la Germania nazista. Tommaso Piffer, docente di Storia contemporanea all’Università di Udine con un curriculum che passa per Harvard, Cambridge e Mosca, ha dedicato molte ricerche alla Resistenza europea. In questo volume il focus si concentra su quei Paesi dell’Europa centro-orientale – Grecia, Jugoslavia e Polonia –, che appunto furono toccati nei loro confini dalla cortina di ferro e che pertanto videro un maggiore impegno dei Servizi di intelligence inviati da Londra, Washington e Mosca a sostegno di questa o quella componente della Resistenza, che in quei Paesi assunsero connotazioni di massa entrando però spesso in conflitto con i rispettivi governi in esilio.



Pubblicato dapprima in inglese e dotato di un’imponente documentazione di prima mano, il testo di Piffer attraversa la Seconda guerra mondiale nella prospettiva piuttosto inedita dell’operato dei Servizi segreti alleati nelle loro relazioni con i movimenti europei della Resistenza, in un arco di tempo che va dal disastroso patto di non aggressione Ribbentrop-Molotov del 1939 – con le clausole segrete per la spartizione della Polonia –, fino alla disfatta della Germania. Nel ripercorrere in ordine cronologico i diversi scenari di guerra, l’autore svolge per trecento e più pagine la storia dei Servizi nelle loro relazioni con i rispettivi governi da un lato e con i movimenti europei di resistenza dall’altro, concentrandosi su tre punti chiave: 1) la Grande Alleanza tra Gran Bretagna, Stati Uniti e URSS; 2) le relazioni tra gli Alleati e l’Europa; 3) la natura della Seconda guerra mondiale.



Per quanto riguarda i rapporti tra gli Alleati, l’analisi comparata dei rapporti di Mosca, Londra e Washington con i rispettivi servizi segreti ci svela la pragmaticità, la molteplicità di opinioni e spesso la confusione dei centri di potere occidentali, in specie nel caso dell’Inghilterra, che fino al 1941 dovette sostenere da sola il peso della guerra e il cui Foreign Office mise in campo un SOE (Special Operations Executive) inizialmente improvvisato con agenti poco più che ventenni, scarsamente preparati e difficilmente controllabili, anche per ragioni logistiche, sia dal ministero che dagli alti comandi militari.

Vero è che nel tempo i Servizi inglesi videro l’apporto di agenti molto abili, come Bill Hudson, un prestante agente dalle molte risorse sbarcato con un sottomarino in Montenegro per la sua missione in Jugoslavia, cui pare si fosse ispirato Fleming per il suo James Bond, o come il trentenne Eddie Myers in Grecia, unico ufficiale del Genio reale addestrato al paracadute tra quelli assegnati al SOE, e tuttavia non saranno mai del tutto superate le contraddizioni tra i diversi centri operativi. Gli Stati Uniti apparvero in Europa più defilati nella loro competizione con l’alleato inglese, geloso del proprio dominio nel Mediterraneo, avendo questi concentrato le attività dell’OSS (Office of Strategic Services) principalmente nello scacchiere asiatico. Unica eccezione in cui si rovesciarono i rapporti interni anglo-americani fu l’area italiana tra il 1944 e il 1945, dove la disponibilità di agenti italo-americani costituì un indubbio vantaggio linguistico per la loro penetrazione nel territorio.

Dall’altra parte del Continente, già da tempo era invece molto attiva la penetrazione sovietica guidata da Dimitrov, fino al 1943 a capo dell’Internazionale Comunista e in seguito del Cominform, che senza darlo troppo a vedere continuò a tirare i fili dei partiti comunisti europei comportandosi de facto, se pure non formalmente, come un’agenzia di intelligence. L’accentramento staliniano non consentiva ai Servizi sovietici di perdersi in interpretazioni soggettive della situazione e non mancò mai, nei casi più delicati, la parola risolutiva di Stalin, che si rivelò tra tutti il più abile e cinico giocatore sulla complessa scacchiera d’Europa. Il caso più eclatante di questo cinismo fu l’abbandono al suo destino dell’insurrezione di Varsavia.

Un altro esempio lo si trova in Jugoslavia, dove Stalin giocò sui due tavoli dei partizani di Tito e del governo monarchico in esilio, accreditando Tito come uomo disponibile a un governo di alleanza nazionale. Nella trappola cadde Churchill, che finì con l’appoggiare Tito delegittimando il governo cetnico di Mihailović che era accusato di connivenza con i nazisti dalla propaganda titina, dimentica peraltro di un tentativo di negoziato coi nazisti in chiave anti-cetnica di Tito stesso. Stalin incassò senza colpo ferire. In tutte queste mosse, Stalin agì da grande temporeggiatore nell’attesa degli errori del nemico, e così, mentre il SOE finì col sostenere nei Balcani i movimenti a conduzione comunista, Stalin si defilava lasciando dietro le quinte l’azione di un discretissimo Cominform, senza però mai perdere la presa in vista di un futuro scontro con gli Alleati occidentali. In sostanza, il teorico del “Socialismo in un solo Paese” sapeva bene che non si trattava in quel momento di suscitare una rivoluzione mondiale, ma di rafforzare l’Armata Rossa là dove essa sarebbe potuta arrivare.

(1 – continua)

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