Appunti urgenti, anzi urgentissimi. Così Emiliano Antenucci e Roberto Italo Zanini, frate cappuccino uno e giornalista l’altro, giustificano un libriccino agile, per i tipi della San Paolo, dal titolo Più fede più umanità. Che entrambe, fede e umanità, scarseggino nel panorama culturale e sociale attuale non è una novità. Basta dare un’occhiata veloce alle pagine di cronaca, una cliccata ai social, o semplicemente prestare lo sguardo ai palazzi sventrati e ai giocattoli decapitati nelle piazze ucraine, ai corpi abbandonati nelle macchine in fumo a Zaporizhzhia, restando solo all’ultima “inutile strage”, per capire l’urgenza di cui parlano gli autori.
Ma così si rischia di scivolare su un altro piano. Più ideologico e inevitabilmente più distante dal nostro vissuto. L’“intemerata”, come viene chiamato lo scritto volutamente provocatorio, ha lo scopo di sondare il cuore, il desiderio di felicità che vi alberga, sgombrando subito il campo dall’equazione cristianesimo uguale privazioni, che vuole i credenti nel vangelo spettri depressi perennemente in bilico sul burrone del gretto moralismo.
Nel volumetto, 140 pagine di piccole dimensioni, si parla di cose serie: evidenze verrebbe da dire, che mostrano come “una fede pienamente vissuta si traduce in una vita più umana”. Esperienze e relazioni, libertà e umanità, amore e gratuità. Il tutto con uno stile da conduzione spirituale, frutto credo dell’incontro tra un religioso e un laico, parole tra l’altro restituite, in uno dei capitoli, alla loro reale potenza semantica, ancorate alla limpidezza dell’unicità cristiana, che non le vede contrapposte ma complementari.
Un libretto tutto da leggere e meditare, per recuperare il senso di realtà abusate e decontestualizzate: famiglia, sapore (inteso come cibo, sì, perché nella migliore tradizione francescana padre Emiliano non è solo un buongustaio ma anche un fine esperto dell’Accademia della cucina italiana), beatitudine e silenzio. Insomma il sillabario dell’umano, che oltre all’eterna Parola, il Vangelo, attinge alle esperienze di grandi mistiche, le gigantesche Teresa D’Avila e Angela da Foligno, alle mani “giunte e sporche” di Teresa di Calcutta, e persino ai consigli culinari di Natuzza Evolo. Ma non mancano neanche i santi dell’altro ieri: da Chiara Corbella a Carlo Acutis.
Il tutto per dimostrare che l’assunto preso a prestito proprio dall’evento conciliare di cui abbiamo fatto memoria nel mese di ottobre, è assolutamente vero. Aggiungo una frase che è sfuggita agli autori e che potrebbe tranquillamente chiudere il dibattito da loro aperto. La prendo a prestito da un altro grande mistico moderno, Charles de Foucauld: siamo felici perché “Colui che noi amiamo con tutto il nostro essere è infinitamente ed eternamente felice”. Che tutti gli altri se ne facciano una ragione.
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