Che il Rudens di Plauto sia una delle commedie più affascinanti del mondo antico, lo desumiamo da tutta una fortuna posteriore, che ne respira l’anima a più voci d’autore: dall’Ariosto, nella Cassaria, fino al Ruzzante nella Piovana o al Della Porta ne La fantesca, senza trascurare, nel contempo, la scena del prologo plautino da cui, senz’altro, Shakespeare avrà preso spunto per l’elaborazione del suo celebre dramma La Tempesta. Illuminante è il rispetto con cui Silvia Stucchi, non nuova al panorama degli studi classici, si lascia seguire dagli argini di questa lunga e feconda tradizione: La gomena, per i tipi della Marietti, ne è una galante fruttificazione corredata, tra l’altro, da non poche chiose di attualità e di riflessioni etico-giuridiche.
Si dice che sia facilissimo trasformare le marionette in impiccati: le corde ci sono già. Non in questo caso, però, perché una provvida fune, in tutto questo, fa da Azzecca-sgarbugli: sgarbuglia l’intreccio al momento giusto, decisissimamente! Basta dare una rapida scorsa, mani e mente, tutto qui! Spoilerando un po’, come per il trailer di un film, ecco qualche frustulo di questo non buffo racconto semiserio. Una giovane, Palestra, perseguitata dal lenone Labrace, fa naufragio sulla spiaggia di Cirene: l’ingarbugliata matassa narrativa sembra complessa da dipanare. Così è se vi pare, avrebbe commentato qualcuno. Eppure da una cassetta ripescata, che contiene oggetti personali della nostra protagonista, si scopre che è di nascita libera e quindi indebitamente pretesa dal suo furfante. Un sequestro, praticamente, che termina risolto grazie ad un bel ca(na)pone che rimorchia la giovane donna, accompagnandola all’epilogo felice di questa piacevolissima fiabetta comica.
Insomma, un pelago di guai nell’operetta comica più singolare del commediografo più rappresentativo della risata di Roma antica: Rudens, ridens ovvero la quiete dopo la tempesta, per chi gusta dall’inizio alla fine questa deliziosa operetta. Fa specie il contesto marittimo di un plot tutto promozionale di un genere letterario meritorio d’attenzione: il Theatrum nostrum vale quanto il Mare e, come quest’ultimo, prende il largo abbracciando orizzonti e prospettive. Di sole e d’azzurro in una moltiplicazione suggestiva.
Quanto colpisce, poi, è l’inveramento di Plauto nella lingua attuale della nostra traduttrice: il codice ricevente della studiosa, accogliendo il testo originario, lo ri-crea e lo riformula nell’integrale rispetto delle proprie sembianze linguistiche e stilistico-formali. Ancora: lo scorrere della traduzione si rivela lineare, quasi a voler, nella riproposta, facilitare, ma non banalizzare, il messaggio offerto al lettore. Il look del testo, nel concludermi, non poteva non far conoscere l’indole della nuova favella, della professoressa Stucchi, per intenderci, che è elegante ed accurata, nella persona studiorum, oltre che nel suo curriculum, lei che, agli occhi dei più, è firma di non pochi saggi sulle giovanissime vetustà: pagine di gusto evergreen, capienti e sapienti di Bello. Consigliato!