Il Parlamento italiano discute le regole del Mes dopo mesi di dibattito che ha visto soprattutto il prevalere della dimensione dei partiti. Il Parlamento europeo mette a punto cambiamenti attuativi nel Rrp (Recovery and Resilience Plan) e nel Quadro finanziario pluriennale proposti dal Consiglio europeo. Il governo italiano assume poteri speciali per un anno con lo stato di emergenza votato in Parlamento, che appunto attribuisce al governo e alla Protezione civile poteri straordinari o speciali.
Provvedimenti di chiusura di scuole e attività produttive si susseguono sul territorio nazionale con conflitti anche pesanti tra decisioni nazionali e regionali; gruppi di cittadini presentano ricorsi e tribunali locali assumono decisioni diverse anche nell’ambito della stessa regione. Sui social e grazie all’online si moltiplicano proteste, richieste, posizioni, suggerimenti dei cittadini. Una parte di questi si riflette nelle decisioni del governo centrale, un’altra in quello locale, altri ancora hanno posizioni non riflesse da nessuna parte (un esempio facile per tutti sono quelli classificati come “negazionisti”).
E i cittadini cosa vogliono? Da chi sono rappresentati? I partiti e gli organi di governo, Parlamento e consigli regionali e comunali rispecchiano la posizione della maggioranza e delle minoranze? Come si forma la volontà dei cittadini su temi tecnici e, come nel caso del Covid-19, in assenza di certezze scientifiche e di dati certi su temi altamente “tecnici” quali le modalità e i luoghi di contagio, vaccini e sistemi di cura?
Quando, in altri termini, la volontà dei cittadini assume i toni della protesta collettiva e assume le caratteristiche del “populismo”? Il populismo è un segnale di indebolimento della democrazia o piuttosto tende a riaffermare naturalmente il ruolo degli individui nel processo democratico?
Sono queste le riflessioni che ci fa venire in mente l’ultimo volume di Alberto Lucarelli, Populismi e rappresentanza democratica (Editoriale Scientifica, 2020) in cui analizza le varie forme di populismo con metodo giuridico e attenzione costituzionale ma anche con lungimirante prospettiva interdisciplinare e sensibilità rispetto alle dinamiche dell’attuale contesto di emergenza.
Secondo l’autore, il populismo non è un monolite: quella che viene troppo rapidamente classificata come “deriva populistica” richiama il tema della rappresentanza dei partiti, del parlamento e delle istituzioni.
Gli individui, attraverso il loro voto ai partiti che si costituiscono in parlamento, sempre più spesso si vedono costretti ad intervenire con modalità diverse; movimenti sociali non strutturati si muovono in parallelo ai partiti politici, la democrazia diretta si afferma accanto a quella rappresentativa, e talvolta accade anche che la “piazza” influenzi le decisioni del Parlamento.
Lucarelli mette in evidenza come il populismo non agisce in sostituzione della rappresentanza ma in parallelo ad essa, al fine di migliorarla. Storicamente si è passati da un populismo che si contrappone all’autoritarismo ad un populismo che crea e ridisegna spazi di democrazia rianimandola.
Ma il populismo, secondo l’autore, è anche una forma di controllo successivo sulla politica del dopo voto: “il popolo è elemento dello Stato, non statico, ma dinamico, in grado di seguire ed essere protagonista dei processi politici dell’iniziativa, fino all’attuazione ed al controllo dell’indirizzo politico” (pag. 120).
Sempre di più il luogo vero di confronto rispetto ai partiti politici diventano le associazioni, i movimenti, i comitati, i forum non strutturati, le reti informali che consentono di esprimere la “voce” di hirschmaniana memoria più delle stesse istituzioni tradizionali.
In altri termini, i populismi, di destra o di sinistra, sia quando la maggioranza di governo è rappresentativa del popolo che in caso contrario, convivono con le forme tradizionali di rappresentanza democratica; sono cioè “forme eterodosse di modelli di partecipazione democratica, comunque riconducibili ad altre forme della democrazia”, come sottolinea l’autore, che trovano la loro ragion d’essere giuridica proprio nei primi tre articoli della Costituzione.
Le tecnologie assicurano sempre una maggiore pervasività dell’azione populista: petizioni online, rapporto diretto con la politica e le istituzioni grazie ai social, reti di soggetti che accomunati da interessi comuni si aggregano in semplici chat per rafforzare le loro idee reciprocamente e rendersi consapevoli di questioni tecniche, gruppi Facebook e Twitter. Nel libro non manca un accenno ai digital party, una forma-partito vista in tante altre formazioni sorte negli ultimi anni, come Podemos in Spagna, i Partiti Pirata nel Nord Europa e il partito France Insoumise, non solo perché sono nati e si sono “addensati” intorno ai social media (pagine Facebook, account Twitter e canali YouTube) ma anche perché hanno creato le loro “piattaforme partecipative”, ambienti on line in cui i membri sono invitati a partecipare in discussioni e votazioni su candidati e scelte strategiche, qualche volta con limiti tecnici e difficile verifica oggettiva dei risultati.
Nella parte finale del libro si affrontano i tempi del Covid-19, che vedono generare derive del fenomeno populista: da populismo democratico “integrativo” della funzione di rappresentanza appare un populismo autoritario, autocratico e a deriva monocratica, il cosiddetto “populismo dell’emergenza”.
Da un lato decisioni veloci e senza consultazioni, frutto di un rapporto diretto tra organi monocratici di direzione e alcuni gruppi di cittadini, dall’altro ricorsi giudiziari e amministrativi, istanze e manifesti, proteste di altri gruppi di cittadini: l’emergenza sanitaria, come afferma l’autore, viene spesso strumentalizzata a fini elettorali o di raccolta del consenso. Le decisioni che prevalgono sono quelle che rispondono alle maggioranze che si manifestano, con tutti i limiti dell’informazione rispetto a temi importanti che richiedono competenze tecniche esterne che vengono servite a favore e contro certe decisioni (vedi la scuola, il Mes etc.). Come afferma Lucarelli, infatti, la partecipazione effettiva richiede “l’informazione, la formazione permanente, il dissenso, il conflitto, la condivisione. Tutti stadi necessari per maturare saperi e coscienze collettive”.
Soprattutto a livello regionale, essa si caratterizza con uso distorto dei media con delegittimazione del mondo informato delle associazioni, dei partiti, dei luoghi istituzionali di riflessione e aggregazione quali i consigli regionali e comunali, utilizzando la salute per comprimere i diritti fondamentali. L’esempio riportato è l’Election day del 21 settembre scorso, che ha accorpato voto amministrativo e voto per il referendum in pieno stato di emergenza.
L’obiettivo, infine, è ricondurre lo stato di emergenza nel perimetro costituzionale, disegnato per porre rimedio ad antiche restrizioni di libertà, per evitare che le scelte compiute siano il frutto di una campagna elettorale permanente, in particolare in quelle regioni in cui alle elezioni amministrative seguono le comunali, alla stessa stregua delle varie ondate di Covid-19.