“La maggioranza delle donne è sinceramente convinta che l’aborto sia un diritto”, com’è un diritto avere un figlio ad ogni costo, e quindi la fecondazione in vitro è ritenuta “una cosa buona e giusta”. Ma è ormai anche opinione comunemente accettata “che la sessualità debba essere libera sempre e comunque” e che “si possa cambiare sesso, anzi genere, quando si vuole”. Tutto il male che c’è nel mondo, poi, “è causato dal patriarcato”.



Quando si parla di donne e condizione femminile c’è una sola narrazione accettata come politicamente e culturalmente corretta, “se si vuole essere considerati dalla parte giusta della storia”. Non è ammessa alcuna voce critica, fuori dal coro. Ben venga dunque il coraggioso pamphlet di Raffaella Frullone Presidenta anche no! Resistere al fascino del neofemminismo (edizioni Il Timone, 2024), che si propone come “un’altra campana, che varrebbe la pena ascoltare”.



L’autrice, giornalista “bergamasca con sangue campano, sposata felicemente e indissolubilmente”, in pagine ben documentate e ricche di esempi e storie vissute, spesso dolorose, racconta le menzogne che circondano i luoghi comuni sulla nuova femminilità, che ha come primo scopo quello di liberarsi dalla dipendenza dal maschio, giudicato sempre prevaricatore, e da un ruolo creduto superato. Addio perciò a rapporti cordiali con l’altro sesso, un nemico, addio a relazioni durature, addio al matrimonio, all’inferiorità sul lavoro e soprattutto viva il modello childfree, perché i figli sono un inutile fardello. Essere totalmente autonome e padrone di sé deve diventare il traguardo di ogni donna. Il risultato è una società che sembra aver perso di vista, prima ancora che la fede cristiana, ogni residuo di razionalità, di sensibilità umana e onestà intellettuale. Ma questo cambio di paradigma, questo progressivo e inesorabile rovesciamento rispetto al sentire comune, che ci accompagna dalla “rivoluzione” del Sessantotto, non è casuale, ma “frutto di un meccanismo perfettamente oliato che sovrasta tutti, nessuno escluso” e che fa a pezzi il buonsenso.



Così impazzano la desinenza al femminile anche per i maschi, l’asterisco per essere più inclusivi, lo schwa in nome della fluidità. La famiglia non è più solo allargata, ma queer. I sessi, anzi i generi, sono un numero infinito: “uno, nessuno, centomila, tanto si può sempre cambiare”. L’utero, come ieri, “è mio e lo gestisco io”, ma all’occorrenza si può affittare. Così dilaga il business dell’utero in affitto, anzi della maternità surrogata, anzi della gestazione per altri. Le parole mutano, la sostanza resta: sfruttamento cinico di donne in difficoltà.

Ma il fatto che una “scelta dolorosa”, come un tempo veniva definito l’aborto procurato, si sia trasformato in diritto, addirittura da garantire in Costituzione, non toglie che rimanga il più efferato dei delitti, l’eliminazione della più innocente e indifesa delle creature: il nascituro nel grembo materno. Così un figlio non è una merce da comprare ma un dono (che per crescere ha bisogno di un padre e una madre); la fecondazione artificiale non è una passeggiata ma spesso un calvario; la sessualità libera è il peggiore degli inganni e il sesso di ogni essere umano è quello biologico e non ci si può illudere di cambiarlo con pratiche ormonali che stanno mostrando tutta la loro pericolosità.

Nelle pagine conclusive del saggio si cita il reportage sulla Beata Vergine che la giornalista Maureen Orth pubblicò nel 2015 in apertura del numero di dicembre della prestigiosa e laicissima rivista National Geographic. In copertina, dove campeggiava un primo piano del volto della Madonna del Libro di Botticelli, segnato da un’infinita dolcezza, fece scalpore il titolo: la parola “Mary” a caratteri cubitali, seguita da un’apodittica affermazione: “The most powerful woman in the world”, la donna più potente della terra. Per la Orth, “nessun’altra donna è stata esaltata quanto Maria. Maria è ovunque”. E in effetti “attira ogni anno milioni di persone” nei più famosi santuari, da Fatima a Guadalupe, “ha ispirato la creazione di molti capolavori d’arte e architettura, così come la poesia, la liturgia e la musica”. È poi “la confidente spirituale di miliardi di persone”, al punto che “pregare per l’intercessione della Vergine Maria ed essere a Lei devoti è un fenomeno globale”.

La Frullone, quasi un decennio dopo, si riallaccia allo stupore espresso dalla giornalista americana, per chiedersi: ma Colei che è stata definita “la donna più potente del mondo” cos’ha fatto in concreto per meritarsi una fama universale? Niente di eccezionale. Infatti è qualificata da sempre, dalla fede e dalla devozione popolare, solo con pochi, essenziali termini: “Maria è Vergine, Maria è sposa, Maria è Madre, Maria è serva”. Scomodi e ingombranti, oggi i quattro attributi mariani citati sono rifiutati dalla mentalità dominante. Prevale, imposta dagli alfieri dell’ideologia neofemminista, un’immagine stereotipata della donna, che non accetta più di essere identificata come vergine, sposa, madre e tantomeno serva.

Cosa significa allora guardare a Maria, e dunque prenderla come modello, imitarla? Non certo “immolarsi a una passività ispirata a una concezione superata della femminilità, o peggio ancora votarsi a una pericolosa vulnerabilità, bensì ribaltare i piani, leggere la storia non più in termini di potere e dominio, ma in termini di amore e servizio”. Se ciò accadesse davvero, se la donna cioè si riappropriasse del suo compito nella società, della sua vocazione all’accoglienza e alla cura, non preoccupandosi degli sbandierati “stereotipi di genere” ma con un occhio attento alla realtà per quello che è, senza manipolarla o distruggerla, allora assisteremmo a una vera rivoluzione, capace di rimettere in piedi una società alla deriva. Colpiscono e confortano le parole di gratitudine dell’autrice al termine del libro: ringrazia tutte le amiche della sua vita ma anche tutti gli “amici maschi”, evitando di innalzare stupidi e tossici steccati. E conclude, con un impeto di genuina sincerità: “Ringrazio mio marito, mia roccia, mio alleato, la mia metà con i piedi per terra e lo sguardo al Cielo” e “ringrazio la mia mamma e il mio papà, prima indelebile immagine dell’amore di Dio nella mia vita; senza di loro io non ci sarei”.

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