“Ci vuole una buona dose di coraggio a parlare o scrivere di Dio oggi. Il silenzio che circonda il termine Dio è divenuto assordante”. Queste parole di Alberto Cozzi identificano sia il presente delle nostre società sia il tentativo dell’autore. Il suo saggio Quale Dio? Un nome senza volto o un mistero con molti nomi? (Centro Ambrosiano, Milano 2024) prende spunto dall’anniversario, a distanza di 1700 anni, del Concilio di Nicea (325 d.C.), che riguarda la comprensione della vita di Dio propria della fede cristiana. Prima di entrare nel merito delle implicazioni teologiche e antropologiche della dottrina sulla divinità del Figlio consustanziale al Padre, Cozzi descrive il contesto culturale e personale in cui ci troviamo, descritto come un silenzio assordante.
Il libro è agile, per nulla superficiale, e consente di orientarsi e di non farsi sopraffare dalla difficoltà che riconosciamo intorno a noi. L’autore ha potuto fare a meno della Wissenschaft, tranne qualche occasionale riferimento in nota, forte del fatto di aver pubblicato per i tipi di Queriniana un robusto Manuale di dottrina trinitaria. Si rivolge adesso a lettori anche non specialisti, che si interessano alla domanda del titolo.
La diagnosi sulla genesi storica del problema descrive bene i tratti di questo silenzio assordante nella cultura – l’ateismo semantico – e nell’interiorità, nella autocoscienza delle persone. Cozzi propone in merito una comprensione dell’esperienza che diventa preziosa per identificare la problematicità spesso diffusa in modo sottile, non apertamente ostile, ma che rende estranea e lontana la realtà di Dio nella vita di tutti i giorni.
Tale diagnosi mette a fuoco una difficoltà che in tanti della mia generazione avevamo attraversato. Venivamo da una tradizione cattolica accolta anche con un atteggiamento buono, ma dove si era sempre più sbiadita la realtà di Dio. Si può formulare la difficoltà in un modo paradossale: Dio rimaneva “vero” – nel senso che non si voleva negare nessuna verità riguardante il Dio cristiano e tantomeno negare la sua esistenza –, ma era come se fosse divenuto “non reale”, direi “non cogente” per le scelte esistenziali. Dio si stava riducendo quasi a un’idea, come lo sfondo lontano di una vita che non aveva più bisogno di Lui per svolgersi umanamente.
La conseguenza arrivava presto: essendo la vita delle persone normali tesa al reale – la filosofia afferma bonum est in rebus – se Dio non è una res, se non è reale, si deve allora cercare altrove questa realtà che compia la vita. E viceversa, il rapporto con un Dio ridotto a pura idea non è in grado di reggere l’intelligenza e l’abbraccio di sé e della società e, ovviamente, non può reggere neanche le dimensioni etiche e di impegno nel mondo che conseguono alla fede. Se alla fine degli anni Settanta la situazione si poteva descrivere così per i miei coetanei, oggi la difficoltà si è radicalizzata e, allo stesso tempo, presenta tratti nuovi, soprattutto per chi non procede più da una tradizione cristiana.
Cozzi esamina questa profonda estraneità, per poi presentare criticamente tre tentativi contemporanei di risposta nell’ambito della teologia e della pastorale.
In primo luogo, l’idea di una spiritualità senza Dio, un post-teismo dove compare l’insofferenza nei confronti di un Dio rozzamente concepito come un oggetto che fa numero con il mondo – argomento ovviamente respinto –, per poi diventare un’idea regolativa, anch’essa vuota e rifiutata. Alla fine, si trattiene una “spiritualità” che fa a meno di un Dio di cui non si sa rendere ragione, né per quel che riguarda la sua realtà singolare e trascendente (unità e unicità), né per quel che riguarda la sua profonda immanenza e radicamento nel reale, in quanto consistenza di ogni cosa, che è l’intuizione che questo post-teismo pretenderebbe valorizzare.
La seconda proposta riguarda il recupero dell’interesse per la dimensione cosmologica dell’esistenza di Dio. Paradossalmente questa pista sembrava essersi chiusa dopo il rifiuto kantiano della metafisica e la conclamata incompatibilità tra le vecchie vie di accesso a un Dio fondamento del mondo e la realtà di quello stesso mondo, che le scienze, in particolare la fisica e l’astrofisica e dopo la biologia, tentavano di spiegare esaurientemente in un contesto di riduzione empirista e positivista della scienza, il cosiddetto “scientismo”. Sembra ironico che, proprio dall’interno delle scoperte stupefacenti della fisica nel XX secolo, si sia riaperta la discussione intorno al Dio creatore e al Big Bang, che Cozzi presenta in modo sintetico ma efficace, senza cedere a opposizioni sterili o concordismi superficiali.
Il terzo orientamento teologico pastorale riguarda l’idea di un pluralismo religioso dove in fondo tutti i nomi della divinità rimandano ad uno sconosciuto equidistante da ogni tentativo di espressione religiosa. Le culture e le tradizioni religiose non sarebbero altro se non tentativi umani di indicare asintoticamente questo Dio sconosciuto, non conoscibile e sicuramente lontano dalle esperienze e dai bisogni umani.
L’ultimo passaggio del volume rivendica la capacità del Dio cristiano di far rinascere l’esperienza dell’umano davanti allo scandalo del male. Si presenta questa difficoltà in modo coerente con la comprensione dell’esperienza che Cozzi ha proposto. L’autore sottolinea una caratteristica originale del mistero cristiano di Dio, il quale non appena si “manifesta”, ma propriamente si “rivela”, vale a dire irrompe nella trama prevista e prevedibile della vita ordinaria come appello, come chiamata di amore, che suscita in quanto dono un compito originario. In questo intreccio di dono e compito si gioca l’identità propria di ciascuno. La questione del male è diventata una delle argomentazioni a prima vista più inattaccabili per negare il valore dell’esistenza di Dio. Cozzi la riconsidera per poter riscattare ciò che descrive in modo molto bello come la vittoria del Risorto, il dono dello Spirito che porta l’esperienza umana oltre i limiti invalicabili – soprattutto il male radicale – e che ha fatto vivere per tanti secoli le nostre società e può far vivere ogni persona adesso e nel futuro.
La descrizione di non pochi aspetti della percezione di sé, come esperienza vissuta e come originalità dell’intelligenza della rivelazione cristiana, potrà sicuramente aiutare il lettore a dare voce alla fatica che si fa riguardo alla realtà di Dio e alla proposta del Dio di Gesù Cristo. Cozzi insiste nell’affermare che oggi l’urgenza non è innanzitutto quella di dimostrare l’esistenza di Dio, vale a dire, di rileggere le prove dell’esistenza di Dio o di offrire dimostrazioni, quanto quella di incontrare luoghi vivi di questa esperienza che lui ha descritto.
Eventualmente si può far notare che, come è ovvio, questo è un volume scritto in Occidente, per noi occidentali. Il peso di tanti di questi argomenti, sia come difficoltà che come risposta, è tipico del cammino problematico che ha fatto e fa l’Occidente nei confronti del Dio cristiano. In altri continenti e in altre culture, in altre forme dell’essere cattolici o dell’essere religiosi, probabilmente non sarebbero questi i problemi dominanti. Si tratta quindi di un volume particolarmente adeguato a noi occidentali, tenendo presente tuttavia che ciò che accade in Occidente prima o dopo rifluisce su tutti gli altri luoghi del mondo.
Un’ultima considerazione. Se si fa teologia in questo modo, con una fondazione rigorosa e un preciso lavoro teologico alle spalle, in grado di interloquire con il mondo attuale, e di dare parole ai credenti semplici, che hanno bisogno di giudicare ciò che sta attorno a loro e dentro di loro in questo Occidente travagliato, si offre un bell’esempio del servizio prezioso della teologia al nostro tempo e alla nostra Chiesa. Benvenuta dunque la domanda: Quale Dio?
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