“Dialogo sulla corruzione. Giustizia e legalità, impegno per il bene comune” (Editoriale scientifica, Napoli 2019) raccoglie la riflessione di Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale, e Claudio Sammartino, prefetto a Catania. Proponiamo, per gentile concessione dell’editore, alcuni brani tratti dall’intervista finale di Giuseppe Di Fazio a Pennisi e Sammartino.
G. Di Fazio: Quando la corruzione diviene un fenomeno pulviscolare che infetta la mentalità che respiriamo e incide pesantemente sui nostri comportamenti, l’idea stessa di bene comune risulta stravolta e prevalgono, invece, gli interessi privati e il tornaconto personale. Si sviluppa così – per citare le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – “un sistema gelatinoso” che “divora risorse, nega diritti e mina il rapporto di fiducia tra Stato e cittadini”. Un sistema che offre ampi margini di azione alle varie mafie che operano nel Paese.
Per l’esperienza che avete maturato nelle vostre rispettive responsabilità – di vescovo e di prefetto in zone ad alta densità mafiosa – potete documentare qualche forma peculiare che la corruzione ha assunto negli ultimi anni?
Arcivescovo Michele Pennisi: “Nella misura in cui si pensava di sconfiggere la corruzione solo con provvedimenti di carattere penale, alla prova dei fatti questo metodo ha avuto, sì, buoni risultati, ma non ha risolto il problema. Perché se manca la consapevolezza che la corruzione è un male, se manca una coscienza morale, il cittadino in prima istanza cerca di farla franca; poi, se viene scoperto, allora paga. Dobbiamo prendere atto che la corruzione non sempre è avvertita come una ferita nella coscienza morale della nostra gente. Papa Francesco dice che la corruzione, a differenza del peccato, non viene percepita come un male e, perciò, si continua tranquillamente a praticarla”. (…)
Prefetto Claudio Sammartino: “La corruzione, è vero, ha assunto molteplici forme, aspetti degenerativi sofisticati e, talvolta, sfuggenti. Ed è altrettanto palese che non può essere ridotta solo al comportamento che assume rilevanza penale. Nella mia esperienza in varie Sedi, ho rilevato ulteriori manifestazioni oltremodo pericolose ed inquinanti, difficili da decifrare che, peraltro, creano un brodo di coltura grazie al quale è più agevole far attecchire l’illecito e, talora, le mafie. (…) Corruzione è, altresì, cecità e far finta di non vedere. ‘Il problema del mio Comune sono i cani randagi ed i ragazzi che rompono le lampadine e fanno chiasso giocando’ disse, rispondendo ad una specifica domanda, un amministratore di un territorio ad alta densità mafiosa nel corso di un Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica a Reggio Calabria. Aiutare quella Amministrazione ad aprire gli occhi, se vuole: questo è un compito importante per il prefetto. Corruzione è anche l’indifferenza del pubblico impiegato, paludata talora da atteggiamenti formalistici, di fronte alle necessità dei cittadini. In tal modo, come ho già detto, si abdica al fondamentale compito di servizio alle persone e si deteriora il rapporto fra utente e pubblica amministrazione ingenerando una spirale di sfiducia nei confronti delle istituzioni difficilmente recuperabile”.
Di Fazio: Ed è a questo punto che le mafie si propongono come intermediazione fra cittadini e istituzioni…
Sammartino: “(…) Dove arriva con la corruzione e con l’inquinamento delle relazioni, la mafia non necessariamente deve utilizzare il suo carattere distintivo che è l’uso della violenza e dell’intimidazione o almeno la disponibilità di esse. È il caso di una persona, già titolare di importanti incarichi, molto influente e condannata per concorso esterno in associazione mafiosa, che si era messa alla testa di operatori commerciali che reclamavano attenzione dal Comune a riguardo dei loro problemi: pretendeva di diventare interlocutore delle Istituzioni e partecipare anche a riunioni in Prefettura quale portavoce dei manifestanti”.
Di Fazio: Monsignor Pennisi, ci può fornire qualche esempio concreto di quanto detto prima?
Pennisi: “Vengono da me talora persone che chiedono di essere raccomandate. E quando io dico che non mi posso prestare a questa pratica, la persona risponde: ‘Ma io voglio essere raccomandato solo per essere trattato in modo uguale agli altri; perché se non ottengo la raccomandazione non sarà così’. Oppure, un datore di lavoro dice: ‘Se non pago la tangente, non ottengo l’appalto e devo licenziare i miei operai’. Ed è un cane che si morde la coda. La stessa cosa accade per il pizzo. Ci sono persone che mi raccontano: ‘Io continuo a pagare, altrimenti non posso lavorare, perché non c’è chi mi garantisca l’incolumità’. Durante la visita pastorale in Diocesi di Monreale, in un piccolo Comune è venuta a parlarmi una persona che, arrivata con l’acqua alla gola, si è ribellata al pizzo e all’usura. Alla mia domanda sul perché non si fosse ribellata prima, mi ha risposto: ‘Chi mi garantiva? Io, comunque, riuscivo a portare avanti la mia attività; poi non ce l’ho fatta più e ho deciso di denunciare’. Quella stessa persona mi diceva, però, che in paese, dopo la sua ribellione al pizzo, tutti la guardavano male: c’è un’assuefazione. Si pensa che nella misura in cui certe pratiche di comportamento entrano a far parte della consuetudine, esse sono permesse”.
Di Fazio: Prefetto Sammartino, quale rapporto esiste fra corruzione e mafia?
Sammartino: “I due fenomeni non sono la stessa cosa. Ci può essere corruzione senza mafia, anche se la corruzione può costituire il brodo di coltura grazie al quale manifestazioni cancerose come le mafie allignano con più facilità, al Sud come al Nord. (…) Dobbiamo superare una sorta di negazionismo della corruzione. E lo si può fare con un ulteriore salto di qualità della coscienza sociale. Come ha di recente affermato l’ex Procuratore della Repubblica di Roma, Pignatone: bisogna superare la convinzione che un po’ di corruzione giovi, in fondo, al funzionamento del sistema. Da qui le pratiche della raccomandazione, corruttive, che vengono presentate come un ripristino della par condicio rispetto ad altri soggetti. Queste riflessioni mi portano a fare un’ulteriore considerazione: il fenomeno corruttivo è una distorsione delle dinamiche ordinarie dei rapporti fra cittadino e burocrazia. Quando un diritto non viene più considerato come tale, ma come un favore, lì si innesca una distorsione. Da lì nascono le dinamiche di rapporti distorti con la pubblica amministrazione e la corruzione comincia ad essere percepita quasi come un male necessario al sistema. Ciò dà proprio l’idea di una forma di schiavitù, tanto dalla mafia quanto dal fenomeno corruttivo. È un male che va colpito alla radice”.