La generazione che ha conosciuto la divisione in blocchi, post Seconda guerra mondiale e dopo la caduta del Muro di Berlino, e che aveva sperato in un futuro di pace è sconcertata. I rapidi e violenti avvenimenti dovuti all’invasione da diverse direttrici dell’Ucraina hanno lasciato senza fiato. Uno scenario di tensione internazionale da incubo, simile a quello della crisi dei missili di Cuba del 1962, ma con rischi ancora più gravi e diffusi, che sembra cristallizzarsi. E poi gli avvertimenti, che diventano sempre più sottolineati e risultano crescenti.
Siamo passati, insomma, dalla guerra fredda basata sull’equilibrio del terrore ad una sorta di pace non voluta, fondata sullo squilibrio della potenziale minaccia diretta e imprevedibile. La speranza espressa alcuni giorni fa dal direttore di Limes Lucio Caracciolo di un vertice Usa-Ucraina-Russia, poi, sembra lontana e anche la possibilità di un passo indietro, suggerita dal politologo Ian Bremmer, che chiede una via di fuga dall’escalation.
Dopo aver letto l’argomentato e documentato articolo di un generale italiano del 17 gennaio 2022 su AnalisiDifesa dal titolo “Rischi e limiti nell’apertura della Nato all’ingresso di Georgia e Ucraina” ci si chiede, poi, legittimamente, se l’assertivo espansionismo russo sarebbe stato fermato da una mediazione adeguata, a favore dell’Ucraina, comprendente neutralità svizzera, indipendenza integrale e partenariato economico forte con l’Ue, oltre all’invio di osservatori Onu nella regione del Donbass, ad esempio, o ad altre soluzioni valide per le parti. Difficile considerarlo, ora, soprattutto, quando i gravi fatti sul campo e le terribili immagini di civili morti in Ucraina (vittime in coda per il pane, madri con bambini eccetera), dicono altro. Certo, un’attenzione al realismo sulla questione proposto dal “Metternich americano” Henry Kissinger sul Washington Post del 5 marzo 2014 e alle analisi di Samuel Hungtinton ne Lo scontro di civiltà (Garzanti, 2001) sui rischi ai confini tra universi culturali avrebbero giovato.
Allora i boomers, e non solo, guardano, perciò, all’unico leader mondiale che pronuncia parole che vengono dal cuore e non dall’ideologia: Papa Francesco. Le sue parole all’Angelus di domenica contro la disumanità e il sacrilegio della guerra restano scolpite nei cuori. E la sua accorata preghiera per l’Ucraina e la consacrazione al Cuore Immacolato di Maria dell’Ucraina e della Russia uniscono cristiani (cattolici, ortodossi, protestanti) e uomini di buona volontà, risultando una novità sorprendente, che mette al primo posto la protezione della popolazione martoriata e dell’umanità.
Destano, infatti, un preoccupato sussulto le recenti parole di Dmitrij Muratov, premio Nobel per la Pace, e di Aleksandr Dugin, ideologo vicino al Cremlino, circa un possibile uso di armi di distruzione di massa. Cosa dire riguardo a possibilità che sembravano del tutto superate dall’intelligenza umana? Lo sguardo impaurito di molti si volge perciò dall’alto dei foschi cieli della geopolitica, fondata sulla volontà di potenza, alla verità proveniente dalle persone semplici. Costoro mettono in luce un’altra cosa: l’esperienza. Essa vive in persone che testimoniano con il loro giudizio non parole senza vita, ma la memoria presente di volti offesi dalla vita che ancora parlano.
Yelena Osipova, la donna sopravvissuta all’assedio di Leningrado, che ha manifestato il suo dissenso a San Pietroburgo contro l’intervento armato, non vuole che altri vedano ciò che ha vissuto e sentito: morti per fame, distruzione, vittime inermi. Basta leggere lo straordinario libro di Lidija Ginzburg, Leningrado. Memorie di un assedio (Guerini e Associati, 2019), per avere un’idea delle atrocità subite dalla città martire. O guardare il film Attacco a Leningrado (2009) di Buravsky, per rendersi conto di scelte terribili e sofferenze inaudite. Perciò, mai più assedi contro l’Ucraina e altri Stati: già ora.
I sopravvissuti al disastro atomico di Hiroshima, poi, ci ricordano di cosa si sta parlando; non di un’arma che rientra in una strategia bellica (teoria del primo colpo, teoria del mad man, escalation per de escalation eccetera), ma in un fatto accaduto che mortifica il genere umano e porta morte spirituale e fisica. Per questo motivo l’ottantenne ex sindaco della città colpita, Tadetoshi Akiba, che si batte da tempo per l’eliminazione delle armi nucleari, ha rivolto un appello per la cessazione della guerra. E come non ricordare il grande Andrej Sacharov? Creatore di una terribile bomba a idrogeno, dal di dentro della sua esistenza si rese conto che ciò che difende l’uomo non è l’onnipotenza distruttiva, ma la sua dignità.
In questi giorni “la cecità di fronte all’Apocalisse”, di cui parlava il filosofo Anders – troppo velocemente accantonato – è, infatti, il rischio più grave. Nel suo carteggio con il pilota Claude Eatherly, che sganciò la bomba atomica su Hiroshima, emerge dall’esperienza del militare americano tutta la sofferenza per l’accaduto e per l’esecuzione dell’ordine mortale ricevuto.
Tali esperienze ci fanno perciò ritornare alla scienza dell’anima di Dostoevskij e all’intelligenza non violenta di Tolstoj, che dovrebbero essere colte fino in fondo. Quindi, altro che eliminazione della cultura russa dalle università! Il male fatto strazia non solo la vittima, ma anche chi l’ha commesso. Meglio evitare i morsi dell’anima, come il tenente colonnello Stanislav Petrov, che nel 1983 con il lume della ragione evitò la catastrofe con un logico atto di intelligenza preventiva. Il primo colpo, insomma, spetta all’intelligenza del cuore, per evitare l’ultimo.
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