Con l’accattivante titolo Il vescovo che disse “no” a Hitler (San Paolo, 2021) è in libreria da un paio di settimane un ottimo volume sulla vita e il pensiero di Clemens August von Galen (1878-1946), il vescovo della città tedesca di Münster che si oppose sempre con fermezza e pubblicamente al regime nazista.
L’edizione italiana propone un testo pubblicato in Germania nel 2005, in occasione della beatificazione di von Galen, celebrata da Benedetto XVI, il quale indicò il nuovo beato come un “grande testimone della fede, che in tempi bui ha fatto splendere la luce della verità e ha mostrato il coraggio di opporsi al potere della tirannide. […] Più degli uomini egli temeva Dio, che gli ha concesso il coraggio di fare e di dire ciò che altri non osavano dire e fare. Così egli ci dona coraggio, ci esorta a vivere di nuovo la fede oggi e ci mostra anche come ciò sia realizzabile nelle cose semplici e umili e tuttavia grandi e profonde”.
In aggiunta rispetto all’edizione originale, quella italiana (curata da chi scrive) propone altri quattro discorsi di von Galen, risalenti agli anni 1934, 1937, 1939 e 1945, che permettono di seguire lo sviluppo del suo pensiero lungo l’arco di tutto il suo episcopato. Il testo del 1939, in particolare, non è uno scritto pastorale, ma una comunicazione indirizzata a Hitler (né fu l’unica di tal genere) per contestare, in forza dell’osservanza scrupolosa delle norme giuridiche, un’ordinanza che imponeva lo scioglimento di tutte le forme di aggregazione giovanile cattolica ancora esistenti.
La figura di von Galen mostra, in effetti, la certezza di una fede semplice e intelligente che, radicata nell’amore alla persona di Cristo e nell’obbedienza di cuore alla Chiesa, si preoccupa di offrire ai fedeli un orientamento per leggere il tempo presente, osando perciò schierarsi apertamente contro il potere dominante. Non a caso il motto episcopale di von Galen fu il paolino Nec laudibus nec timore, ossia il monito a non deviare dall’obbedienza della legge divina né per le lodi degli uomini, né per la paura di essi. Von Galen sapeva bene, infatti, che le sue prese di posizione avrebbero potuto costargli la vita, e non si sbagliava.
Come riferisce Beaugrand, l’autore del libro – sempre sulla base di fonti documentate – il Führer stesso non poteva soffrire “il leone di Münster” (come più tardi venne ricordato von Galen), e attendeva solo di vincere la guerra contro i nemici esterni, per poi regolare i conti con gli oppositori interni. A von Galen, però, non venne torto un capello, poiché egli era talmente amato anche al di fuori della propria diocesi – e non solo dai cristiani -, che i gerarchi temevano di provocare un’insurrezione popolare se lo avessero preso di mira.
Quanto all’obbedienza alla Chiesa, caratteristica dell’episcopato di von Galen, Beaugrand spiega che egli, insieme ad altri quattro alti prelati tedeschi, fu convocato a Roma da Pio XI nel gennaio del 1937 per la preparazione dell’enciclica sulla situazione religiosa in Germania, cioè la Mit brennender Sorge, del marzo 1937. Un decennio più tardi, in segno di riconoscimento della luminosa testimonianza di fede data sotto il regime, Pio XII creerà von Galen cardinale, assieme ad altri due vescovi tedeschi e ad altri ancora. Tale decisione papale ebbe anche un intento chiaro: dimostrare al mondo che la Germania non doveva essere identificata solo con il nazismo, poiché c’erano stati anche coraggiosi testimoni del bene.
Che l’edizione italiana esca, poi, nel 2021 è una felice coincidenza: proprio a ottant’anni fa (1941) risalgono, infatti, i più celebri fra i discorsi di von Galen, che lo resero noto in tutta la Germania, e anche oltre i confini nazionali. Nell’estate di quell’anno tenne tre prediche che denunciavano apertamente alcuni dei maggiori crimini perpetrati dal regime: l’espulsione forzata degli ordini religiosi, con la confisca dei relativi beni ecclesiastici, e la soppressione – fino ad allora tenuta gelosamente nascosta all’opinione pubblica – dei malati di mente, nell’ambito del famigerato piano noto come Aktion T4.
Nella predica del 20 luglio 1941 von Galen accusa – una volta di più – il nazismo di essere una potente ideologia che intende consapevolmente sopprimere il cristianesimo, sostituendovi un nuovo culto, quello della razza, del sangue e del Führer. In uno struggente passaggio egli invita i suoi fedeli a resistere: “Certo, noi cristiani non facciamo alcuna rivoluzione. Continueremo a svolgere fedelmente il nostro dovere obbedendo a Dio, per amore del nostro popolo e della nostra patria. […] Continueremo a combattere contro il nemico esterno; contro il nemico interno, che ci tormenta e ci colpisce, non possiamo combattere con le armi. Ci rimane un solo modo per combattere: resistere, con forza, tenacia, inflessibilità! […] In questo momento non siamo il martello, ma l’incudine. Altri […] vogliono con l’uso della violenza forgiare in modo nuovo il nostro popolo, noi stessi e la nostra gioventù, farci deviare dal retto atteggiamento di fronte a Dio. […] Per quanto il martello possa colpire con violenza, l’incudine se ne sta lì nella sua tranquilla compattezza e servirà ancora a lungo a dare forma a quel che sarà forgiato di nuovo”.
Che la testimonianza di von Galen non sia tramontata lo dimostra, non da ultimo, la stima che ebbe nei suoi confronti Giovanni Paolo II. Quando egli, il 1° marzo 1987, si recò in visita sulla tomba di von Galen, ne ricordò decisamente l’impegno in difesa della vita. Come allora l’eutanasia nazista colpiva i malati di mente e chi non era più produttivo per la società (le cosiddette persone “non degne di vivere”, secondo il gergo del regime), così trent’anni fa il Papa polacco invitò i cristiani ad essere franchi nel respingere qualsiasi forma di eutanasia (il testo del discorso è contenuto nel libro): “L’eutanasia, la buona morte che deriva da una presunta compassione, è tornata ad essere una parola terribilmente ricorrente e trova i suoi nuovi smarriti difensori. E la Chiesa non può tacere di fronte alla quasi totale liberalizzazione dell’aborto nel vostro Paese e in numerosi altri paesi. […] Di fronte alla società, la Chiesa non deve tacere. […] La Chiesa deve anche oggi con insistenza, chiarezza e pazienza impegnarsi per il diritto alla vita di tutti gli uomini, soprattutto dei bambini non ancora nati e per questo più bisognosi di essere tutelati”.
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