“Trentacinque anni fa siete stati voi cristiani, con le vostre candele, a mostrarci la via. Avete riunito insieme tutti i gruppi di persone che credevano nel cambiamento – credenti, non credenti, conservatori, nazionalisti, liberali e tutti gli altri –. Siete stati voi cristiani, testimoni della speranza, a fare il primo passo.
Anche oggi guardo con grande fiducia a voi e a quella luce di speranza che avete acceso sul mondo trentacinque anni fa. Ne avremo ancora bisogno”.
Si chiude con queste parole il discorso con cui la presidentessa slovacca Zuzana Čaputová ha salutato i partecipanti alla commemorazione della Manifestazione delle Candele, in occasione del suo 35esimo anniversario. Si tratta di un discorso forte e coraggioso per almeno due motivi: da una parte riconosce ufficialmente il ruolo centrale della “Chiesa del silenzio” nella lotta per i diritti umani di tutti i cittadini cecoslovacchi, allora oppressi dal regime comunista; dall’altra esprime un richiamo accorato ai cristiani di oggi a riaccendere ancora quella luce di speranza che tanta forza ebbe sulla piazza Hviezdoslav a Bratislava il 25 marzo 1988.
Il discorso di Čaputová acquista maggiore forza se si considera che la presidentessa viene da una tradizione politica molto lontana da quella dei cattolici slovacchi a cui si rivolge: progressista, ambientalista, liberale. Ma la presidentessa fa parte di una nuova generazione di politici che sceglie consapevolmente di non chiudere gli occhi davanti alla storia del proprio Paese e di unire il più possibile le forze democratiche che hanno interesse a difendere la democrazia. Insieme alle premier di Estonia e Finlandia, Kaja Kallas e Sanna Marin, Zuzana Čaputová mostra la via di una politica di apertura e unione che contrasti i troppi urlatori che puntano invece a isolare e dividere. Una politica che non ha paura di guardare alla storia dolorosa del passato per comprenderla e impararne le lezioni che servono per difendere nel presente le libertà conquistate con i sacrifici del passato. Lo fa notare anche lo storico americano Timothy Snyder in un recente intervento alla Ukrainian Catholic University.
Nel suo discorso, Čaputová parla proprio del pericolo che viene dall’apatia in cui diversi Paesi dell’ex Patto di Varsavia si trovano, dopo oltre trent’anni dalla conquista della libertà. E rimarca come i partecipanti alla Manifestazione delle Candele, e alla Rivoluzione di Velluto diciotto mesi dopo, ragionassero in termini molto diversi. “Credevano nella libertà responsabile”. “Una libertà”, dice sempre la presidentessa in un altro passaggio del discorso, ”che non può essere vista come un biglietto di ingresso a un mondo senza problemi. […] Delusione e disillusione saranno sempre presenti: sono, in fondo, parte della verità. Ma non possono diventare la ragione per dissolvere la libertà in una falsa sensazione di sicurezza, protezione e pace a discapito della democrazia”.
È tempo, insomma, di essere più forti del pregiudizio. È tempo di trovare unità nella volontà di difendere la democrazia, prima di lottare politicamente (e democraticamente) per i propri ideali. È tempo di chiarire che questi ideali, finché legittimi, non vanno comunque confusi con il potere fine a sé stesso. “Voi avete il potere, ma noi abbiamo la verità” disse Silvester Krčméry al tribunale comunista che stava per condannarlo nel 1954. Una massima che Čaputová fa sua nel cuore del discorso di venerdì scorso: quella verità rimane a prescindere da chi conquisti il potere, ed è più forte di qualsiasi sopruso.
La fiducia di una presidentessa progressista e liberale nella capacità dei cattolici di illuminare ancora la realtà con la luce della speranza, nel 2023, è un ottimo punto di partenza per una nuova discussione su quanto sia preziosa la democrazia. Ed è anche un ottimo segnale per il futuro dell’Europa.
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