“Eccolo! È lui. È il suo volto! Quel volto che tanti santi e profeti si sono consumati dal desiderio di contemplare, secondo la parola del salmo ‘il mio volto ti ha cercato: Signore, cercherò il tuo volto’”.

Così il poeta francese Paul Claudel esprimeva tutta la meraviglia di trovarsi davanti all’immagine del volto dell’Uomo della Sindone. Un volto che non può lasciare indifferente nessuno, mai. Perché in quell’immagine sembra sintetizzarsi una ricerca che è antica quanto l’uomo nella sua “profonda fame di felicità” (per citare lo stesso Claudel), la ricerca più profonda di Dio, che ha squarciato il velo della Storia ed è venuto nel mondo con un viso e un corpo ben conoscibili.



In poche righe, Claudel fornisce un’analisi lucida e chiarissima dei sentimenti che il volto sindonico provoca in chi lo guarda. Colpisce, in particolare, l’affermazione “Sentiamo di aver di fronte un originale di cui tutte le interpretazioni artistiche non hanno che il valore senza dubbio sincero, ma sempre parziale e maldestro dei lavori di seconda mano. Il Cristo di Leonardo, quello di Dürer e di Rembrandt si accorda con certe parti del Vangelo, ma questo si accorda con tutte. Anzi le sovrasta”.



Qui viene realmente colto il significato della Sindone come immagine che sintetizza in sé il concetto di “non fatto da mani umane”, che ha origini molto antiche: esiste infatti un termine, di origine greca, usato per identificare una serie di effigi che non sarebbero state realizzate da un artista, ma la cui esistenza sarebbe ascrivibile direttamente a un intervento divino: le acheropite.

La tradizione religiosa cristiana, in primo luogo orientale, ravvisa in una serie di immagini di Cristo delle sorte di “ritratti” autentici, venuti all’esistenza in maniera miracolosa in vari periodi della storia.



Una delle più note è il Mandylion di Edessa, un telo sul quale, secondo una leggenda caratterizzata da molte varianti, Gesù avrebbe impresso la propria effigie per farne dono al re siriaco Abgar. L’immagine sarebbe stata poi trasferita a Costantinopoli nel 944.

Secondo la tradizione, un’altra immagine di origine miracolosa è la cosiddetta Camuliana, che prende il nome da una città della Cappadocia, dove una donna di nome Ipazia avrebbe posto come condizione per la propria conversione al cristianesimo il fatto di vedere Gesù. Miracolosamente, l’immagine del volto del Salvatore sarebbe apparsa su un panno trovato dalla donna all’interno di un pozzo.

Di questa effigie, che sarebbe stata trasportata a Costantinopoli, si persero poi le tracce, e la sua tradizione si confuse progressivamente con quella del Mandylion.

La devozione alle immagini “non fatte da mano umana” si diffuse anche in Occidente, dove l’esempio più noto è l’effigie di Cristo custodita nel Sancta Sanctorum di San Giovanni in Laterano.

Altra immagine ben nota nella tradizione occidentale è quella della Veronica, che – pur nell’ambito di una varietà di tradizioni differenti – recherebbe impressa l’effigie del volto di Cristo martoriato dalle sofferenze della Passione.

Sempre alla tradizione occidentale fa riferimento il cosiddetto “Volto Santo di Lucca”, anche se in questo caso non si tratta di un’immagine su tessuto, ma di un crocifisso di legno.

Molte altre immagini considerate di origine soprannaturale sono presenti nella storia del culto e della devozione cristiana. La loro esistenza testimonia il particolare approccio spirituale e teologico, da parte dei cristiani, alla figura di Cristo, volto a rendere comprensibile la grande rivoluzione che l’Incarnazione ha portato nella storia dell’uomo.

E così, dalle prime raffigurazioni simboliche (il pesce, l’àncora, il Buon Pastore), si passò a quella di una croce di gloria e poi, progressivamente, a quella del volto di Cristo, che doveva essere individuato nella forma in cui era apparso ai discepoli e alle genti del tempo.

In Oriente come in Occidente si diffuse ben presto – a partire circa dal VI secolo – un’iconografia del Salvatore connotata da elementi comuni, che è rimasta invariata lungo tutto il susseguirsi della Storia, fino ad arrivare ai nostri giorni.

Si tratta di una rappresentazione del volto di Gesù con capelli lunghi, barba bipartita, naso sottile e allungato. Queste immagini però, nella quasi totalità dei casi, appaiono connotate anche da elementi di particolarità: il volto di Cristo appare quasi sempre asimmetrico, con una delle guance più prominente dell’altra; il Suo naso appare storto, come a richiamare le percosse indicate nei Vangeli; le sopracciglia sono di forma diversa l’una dall’altra. Pur nella raffigurazione della gloria del Risorto, sembra esserci quindi sempre la volontà di richiamare la Sua Passione.

Un’immagine che reca in sé tutte le caratteristiche di queste effigi è la Sindone di Torino: sul volto sindonico sono ben visibili i segni della Passione, quegli stessi segni che gli artisti sembrano aver voluto riprodurre con fedeltà nel corso dei secoli.

Alla base di queste immagini così lontane tra loro nel tempo e soprattutto nello spazio, sembra esservi stato un modello, considerato come l’unico degno di essere preso come archetipo per raffigurare il volto di Cristo.

E se la Sindone fosse l’archetipo? E se la Sindone in realtà altro non fosse che una delle immagini considerate acheropite di cui ci parlano tante tradizioni, seppur connotate da caratteri leggendari?

A questa domanda non possiamo dare una risposta certa. Non possiamo infatti, ad oggi, ricondurre alla Sindone con certezza storica nessuna delle testimonianze relative alle immagini acheropite.

Quello che però possiamo affermare senza dubbio alcuno è che la Sindone è la sintesi perfetta di tutte le acheropite. È il punto di arrivo della ricerca del volto di Dio. È quell’immagine – unica al mondo – che non può non indurre ad affermare, nel cuore di chiunque vi si accosti con sincerità, come aveva fatto Paul Claudel: “Eccolo! È lui. È il suo volto!”.