Se riavvolgiamo il nastro della vita, come in un vecchio film, e dopo aver cancellato la pellicola facciamo ripartire tutto, la ripetizione ci presenterà una storia uguale all’originale oppure l’evoluzione biologica seguirà un percorso totalmente diverso? Se lo sono chiesto tre biologi prima di delineare le osservazioni conclusive di un avventuroso e stimolante viaggio attraverso i suggestivi panorami della biologia evoluzionistica, cioè della scienza che descrive la storia della vita sul pianeta Terra.
Il viaggio, raccontato nel libro Grandi cambiamenti. Evoluzione tra competizione e cooperazione (Hoepli, 2021), è stato progettato da Carlo Soave – già professore di genetica e fisiologia vegetale e familiare ai lettori de IlSussidiario.net – che però è mancato poco dopo la partenza; ma è stato portato a termine da due colleghi dell’Università di Milano recuperando materiale, appunti e idee che Soave stava raccogliendo e sviluppando.
La domanda sul film dell’evoluzione non è solo una curiosa metafora. È un modo per portare in primo piano una questione di grande rilievo culturale relativamente alla natura e al significato dei processi evolutivi: si tratta di processi deterministici, dove ogni nuova fase è predicibile sulla base della storia antecedente, oppure dominano le contingenze e gli accidenti casuali tanto da rendere ogni passaggio largamente non predicibile e sorprendente? Se per trovare una risposta non possiamo riavvolgere il nastro e riavviare il tutto, possiamo però avvicinarci a una spiegazione tramite due esperimenti.
Uno è un esperimento di macroevoluzione messo a disposizione dalla natura stessa e analizzato nel 2009 da un gruppo di biologi dell’Università della California che hanno studiato come si sono differenziate le forme delle lucertole Anolis presenti in alcune isole dei Caraibi. L’altro, iniziato nel 1988 e condotto per un quarto di secolo nei laboratori della Michigan State University, ha esaminato l’evoluzione di popolazioni del batterio Eschirichia coli per oltre 50mila generazioni osservandone l’incessante capacità di adattamento. In entrambi i casi si sono visti in azione sia fattori deterministici, quindi predicibili, sia fattori casuali e perciò impredicibili.
Il rinnovato dilemma tra la contingenza e la necessità è solo uno dei punti che spingono a un riesame critico delle teorie evolutive e che stanno portando un gruppo di scienziati evoluzionisti a elaborare una nuova idea di evoluzione e a costruire quella che si inizia ad affermare come la Extended Evolutionary Syntesis (Ees). Il libro dei tre biologi milanesi, in un centinaio di chiare e incisive pagine, espone i temi e le ricerche principali che portano gli scienziati a convergere verso la “nuova sintesi postmoderna”; e nel far questo riesce a riconsegnarci un’immagine affascinante e grandiosa della natura vivente, delle sue dinamiche, dei suoi misteri.
Ci parla, ad esempio, della storia della vita come di una continua accelerazione nella comparsa di nuove forme viventi. Racconta di un mondo pieno di animali diversissimi per dimensioni, forme, colori, e di innovazioni, di nuove proprietà (novelties) apparse molte volte negli “ultimi” tre miliardi di anni. Ci informa che le specie animali oggi viventi rappresentano meno dell’1% di tutte le specie viventi passate, il cui numero è stato probabilmente superiore ai 4 miliardi. Ci fa riflettere sul fenomeno delle estinzioni delle specie che “non è un evento eccezionale nella storia della vita ma piuttosto la condizione normale”; un fenomeno che ha assunto dimensioni planetarie ed effetti sconvolgenti nelle cosiddette big five, le cinque estinzioni di massa durante ciascuna delle quali sono scomparse oltre il 75% delle specie: l’ultima, finora (!), è la più celebre, quella che ha portato alla scomparse dei dinosauri circa 65 milioni di anni fa, tra la fine del Cretacico e l’inizio del Terziario.
Tra i temi che possono contribuire molto a modificare l’idea ormai troppo semplificata di evoluzione c’è l’evidenza sempre più documentata del ruolo “costruttivo” della cooperazione, che esiste a tutti i livelli nella materia vivente e che è stata ed è una forza propulsiva non meno importante della competizione, della darwiniana “lotta per l’esistenza”.
Un altro tema che sta assumendo un’importanza crescente nella biologia evoluzionistica è quello dell’epigenetica, concetto introdotto a metà del secolo scorso per indicare l’influenza dei fattori non genetici sullo sviluppo degli organismi ma che è diventato un elemento centrale nel dibattito sull’evoluzione, portando alla conferma dell’esistenza di un codice epigenetico soprascritto sul codice genetico e riattualizzando, in modi molto diversi, il dibattito tra darwiniani e lamarckiani sull’ereditarietà dei caratteri acquisiti.
Infine, l’ultima frontiera nella scienze della vita, la Evolutionary Development Biology più nota con la sigla Evo-Devo: una nuova disciplina, che ricompone “il divorzio tra evoluzione e sviluppo” e si propone di risolvere il nodo dell’origine dello sviluppo che per la neosintesi darwiniana, anche nelle sue versioni più avanzate, resta un punto inspiegato.
Un testo rivelatore di uno sguardo acuto, curioso e insieme profondo – come era quello dell’ideatore del libro – che riesce a tenere insieme i due volti della biologia evoluzionistica che gli autori indicano come “una disciplina sui generis: è scienza naturale storica che utilizza i metodi storici per ricostruire il passato ed è scienza sperimentale classica che, con i metodi della scienza sperimentale, analizza il presente per formulare ipotesi sul passato”.
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