Vi ricordate i Promessi Sposi? Quando Renzo va a trovare il famoso avvocato Azzeccagarbugli e questi, credendolo un brigante in cerca di protezione, gli illustra una lunga serie di “grida”, i decreti di quel tempo che anno dopo anno minacciavano punizioni sempre più dure per i “bravi”. E il Manzoni conclude affermando che tutte queste grida dimostravano soprattutto una cosa: che nonostante tutto, “nel tempo di cui noi trattiamo, c’era de’ bravi tuttavia”.



In fondo lo stesso discorso, si potrebbe fare, almeno a livello di metodo, riguardo a uno dei grandi temi di questo tempo: la possibilità di uno sviluppo sostenibile in cui le imprese non mirino solo al profitto. Lo spunto di riflessione viene da un importante documento della Business roundtable americana sottoscritto dai 200 più importanti manager e imprenditori delle grandi società americane, imprese che danno lavoro a oltre 15 milioni di persone. Un documento in cui si sottolinea la necessità di non mettere il profitto come unico parametro strategico per le aziende, di tener conto delle compatibilità ambientali e dell’equità sociale, di sviluppare un’economia il più possibile rispettosa delle persone.



Ma non c’è solo l’America. Di recente 34 multinazionali, tra cui molte europee, hanno sottoscritto un’intesa simile con l’iniziativa “Business for inclusive growth” sponsorizzata dal presidente francese Macron. E sulla stessa onda si sono susseguiti negli ultimi anni interventi e dichiarazioni tutte tese a dimostrare la necessità di cercare di sviluppare un’economia che tenga conto dei principi e dei valori etici.

Un cammino che parte da lontano. Come ricorda Stefano Zamagni nel suo ultimo libro Responsabili. Come civilizzare il mercato (Il Mulino, 2019), già nel 2002 al World economic forum di New York, 36 tra presidenti, amministratori, alti dirigenti di multinazionali sottoscrissero un documento in cui si legge: “I firmatari si impegnano a porre al centro della propria attività di uomini d’affari non più la sola crescita del profitto, ma l’attenzione al sociale e alla minimizzazione di ogni impatto negativo sulla popolazione e sull’ambiente”. Un impegno che ha portato a ulteriori iniziative, documenti e prese di posizione. Ma commenta Zamagni: “Se sforzi del genere vanno riconosciuti e apprezzati, si deve al pari riconoscere che il fine che con essi si intendeva perseguire non è stato raggiunto, se non in parte modesta”.



In linea con il Manzoni si potrebbe dire che tutte queste dichiarazioni dimostrano in fondo come un problema di responsabilità economica, sia delle persone, sia delle imprese, ci sia ancora e anzi sia cresciuto in maniera significativa negli ultimi anni. Basti pensare a due elementi: l’emergenza ambientale da una parte e gli scandali finanziari dall’altra.

Di fronte a questa realtà il tema della responsabilità diviene fondamentale: “Prendere atto – afferma Zamagni – che il capitalismo oggi rischia la paralisi, o peggio, il collasso, perché sta diventando più capitalistico di quanto gli sia utile (perché nega nei fatti il libero mercato), è il primo passo per avviare un progetto credibile di trasformazione dell’esistente ordine sociale”.