Nel dibattito odierno sulla potenza del digitale e dell’intelligenza artificiale il filosofo, psicoanalista e neurofisiologo Miguel Benasayag ha portato significativamente l’attenzione sulla differenza fondamentale tra la macchina e il vivente: quest’ultimo è dotato di una natura e di una singolarità finita, che “non è un confine, ma il limite che permette di dare senso al qui e ora” (cfr. M. Benasayag, Fiducia nella nostra stupidità, in Contemporaneaweb.org, 2. Intelligenza artificiale. Un approccio umanistico, n. 7; Id., La macchina del mondo, a cura di S. Filippi, Tracce, febbraio 2024).



Nel secolo scorso Robert Spaemann ha concepito una profonda filosofia del vivente, secondo cui ogni singolo essere vivente è orientato ad un fine e vi tende normalmente, cioè non in modo meramente statistico, ma secondo una finalità inscritta nella sua natura. Il fine naturale di ogni vivente, inoltre, è ultimamente sovrabbracciato e fondato nel fine trascendente della partecipazione a Dio, Sommo Bene (cfr. R. Spaemann, R. Löw, Fini naturali. Storia e riscoperta del pensiero teleologico, Milano 2013). Ciò vale in modo eminente per l’uomo: il Padre ha creato tutti gli esseri e, in particolare, tutte le persone umane in Gesù Cristo, per mezzo di Lui e in vista di Lui (Gv 1,3; 1Cor 8,6; Col 1,16). Egli è “il Primo e l’Ultimo, il Principio e il Fine” (Ap 22,13).



La simulazione statistica della macchina nei confronti del vivente nelle sue molteplici forme e funzioni, per quanto diventi giorno dopo giorno sempre più sofisticata, non può ultimamente eguagliare la natura del vivente in generale né, a maggior ragione, la natura spirituale dell’uomo, il quale non solo è orientato all’essere e alla vita, ma è rivolto innanzitutto alla comunione con le Persone divine e con le persone umane. In questa prospettiva, la ricostruzione artificiale dell’uomo a partire da una sua facoltà, come l’intelligenza, muove dalla falsa premessa che la cifra originaria e definiente l’uomo sia l’intelletto, la coscienza o il linguaggio. Ma è falso credere che l’uomo sia il suo intelletto: la relazione interpersonale è più originaria della facoltà dell’intelletto, come dimostra il fatto che la razionalità e l’intelligenza nell’uomo si sviluppano solo all’interno di un linguaggio e, dunque, solo in presenza di e in relazione con (almeno) un’altra persona. La Comunione delle Persone è all’origine dell’essere l’uomo una persona creata, della sua relazionalità e della sua natura razionale.



Riflettendo sull’ideologia sottesa al progresso tecno-scientifico contemporaneo, Benasayag afferma che “il transumanesimo parla di una vita senza morte e quindi di una ‘non vita’, senza limiti. Il limite struttura uno spazio, mentre il confine ci impedisce di sviluppare la nostra potenza. Nella nostra epoca tutti i limiti che strutturano la vita e la società sono considerati come dei confini, quindi da abolire. […] Questo messaggio secondo cui non ci sono limiti, ma solamente confini, è una barbarie”.

Il Progresso della Scienza assurto a dogma incontestabile, proclive a trasgredire i limiti e il logos della natura umana, è influenzato da un pensiero di origine gnostica, secondo cui – come hanno ben mostrato, nel secolo scorso, il teologo e biblista gesuita belga Ignace de la Potterie e il filosofo italiano Emanuele Samek Lodovici – la via della conoscenza della verità consiste in un “andare oltre”, in un oltrepassamento di sé e del mondo verso l’alto, dato che per il dualismo gnostico il luogo della verità è il mondo di lassù (Pistis Sophia, 6). Nel suo conoscere la verità – osserva de la Potterie – il cristiano, invece, a differenza dello gnostico, non va mai oltre, ma rimane in Gesù Cristo (Gv 15; 1Gv 2,24), il quale disse: “Io sono la Via, la Verità e la Vita” (Gv 14,6) e, proprio rimanendo in Lui, trova la gioia piena (1Gv 1,4).

Difficile non scorgere perlomeno un elemento di larvato neognosticismo nel titanico programma di ricerca di un’“intelligenza artificiale generale” (AGI), che Ian Hogarth ha definito qualche tempo fa sul Financial Times una “God-like AI”, cioè un “computer superintelligente che apprende e si sviluppa autonomamente, che comprende il suo ambiente senza bisogno di supervisione e che trasforma il mondo attorno a sé” (I. Hogarth, We must slow down the race to God-like AI, Financial Times, 13/04/2023).

Da parte sua, il teologo e filosofo francescano padre Paolo Benanti ha recentemente affermato sul Times: “C’è un paternalismo nella Silicon Valley, una tendenza a giocare ad essere Dio, vale a dire un desiderio di fare il bene per gli uomini sia che ad essi piaccia o meno, ed è ciò che voglio contestare” (T. Kington, Stop playing God, Pope’s adviser tells tech titans, The Times, 19/01/2024). Nel dibattito sul rapporto “uomo-macchina” Benanti pone l’accento sull’uomo: in quest’ottica, la questione principale riguarda il modo dell’uso che l’uomo fa e farà dell’IA, ad esempio per un motivo intrinsecamente cattivo, e non l’IA stessa.

Un aforisma attribuito a F.M. Dostoevskij suona più o meno così: “Quelli che vanno spesso al confine, passano sempre il limite”. Nella natura spirituale dell’uomo è stato posto un limite creaturale che non può essere in nessun modo oltrepassato, poiché esso, in quanto legge stabilita dal Creatore, dona senso e significato a tutto ciò che l’uomo vive, opera, produce. C.S. Lewis, R. Spaemann e altri attenti osservatori ci aiutano a ricordare oggi che questo limite va osservato e salvaguardato anche nella ricerca scientifica dell’uomo sull’IA e nel suo uso, a fronte di rovinose, attuali spinte neognostiche ad “andare oltre”, insite in un certo tipo di fanatismo religioso chiamato “Ordine e Progresso” scientifico a qualunque costo (e i capitali nel settore non mancano).

(2 – continua)

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