Umberto Ranieri ha scelto di affidare ad un libro quanto aveva da dire al nuovo sindaco di Napoli. Volutamente Napoli e i suoi dilemmi (Guida Editore, 2021) è andato in stampa prima del voto amministrativo che ha poi trionfalmente eletto al primo turno Gaetano Manfredi con il 63% dei voti. L’autore – pur consapevole dell’esito scontato del risultato – ha così potuto manifestare più di qualche dubbio sulla maggioranza Pd-5Stelle che lo ha eletto, e il suo disappunto per il ruolo marginale riservato ancora una volta alle forze civiche della città.
Il libro è ambizioso. Ranieri si cimenta con l’impegnativo compito di ripercorrere per più di cento anni la storia politica della città, dall’avvento del fascismo ai giorni nostri, con l’intento di trovare una risposta ad una domanda precisa: quando la città ha perso il suo appuntamento con la modernità? Quando è successo che Napoli è degradata da grande capitale europea fino alla condizione odierna? È come se ad un immaginario motore di ricerca – per usare un concetto più consono ai giorni nostri – Ranieri avesse chiesto di provare ad elencare tutti i momenti salienti della storia della città – per oltre un secolo – in cui, di fronte ad un bivio, ad una scelta ben precisa da compiere, Napoli ha imboccato la strada sbagliata.
Spesso l’ex senatore del Pd si fa aiutare dalle parole di grandi scrittori che in passato si sono occupati dei problemi di Napoli, da Luigi Compagnone ad Eduardo de Filippo, da Raffaele La Capria ad Anna Maria Cortese, da Fabrizia Ramondino ad Ermanno Rea.
In realtà, ad uno di questi bivi della storia si è trovato proprio lui, Ranieri, e vale la pena ricordare – cosa che lui non fa nel libro – la sua personale “sliding doors”. Eravamo nel 2011 e Ranieri era stato indicato dal suo partito – o almeno da una larga parte di esso – come il successore di Rosa Russo Iervolino, che tra alti e bassi aveva governato la città lungo tutti i primi dieci anni del secolo. L’indicazione però non aveva trovato il consenso di Bassolino e dei suoi più stretti sostenitori, che evidentemente erano contrari ad affidare la città ad una delle personalità del loro stesso partito, ma che si era distinta come una delle voci più critiche verso l’esperienza di governo da essi condotta.
Da questo scontro ebbe origine una delle pagine più tristi della storia della città, che condusse alle famigerate primarie, contrassegnate da uno scontro senza esclusioni di colpi e numerose irregolarità, che si conclusero con l’annullamento del voto. In quel momento il Pd napoletano si suicidò spianando la strada all’elezione a sindaco di de Magistris e condannando la città a dieci lunghi anni di non governo. C’è poco da criticare il sindaco uscente se prima non si accetta di considerare quanto accaduto nel 2011, colpa soprattutto del Pd, nazionale e locale, e dello stesso Bassolino.
Ovviamente Ranieri queste cose non le dice, ma sono evidenti dal racconto che egli fa della città. E se il giudizio sulle responsabilità del fascismo, prima della guerra, e su quelle di Achille Lauro nell’immediato periodo post-bellico risultano abbastanza evidenti, Ranieri appare molto meno critico sugli anni delle amministrazioni democristiane e di centrosinistra che caratterizzarono gli anni 60. Così come assai indulgente appare la ricostruzione degli anni di governo della prima giunta di sinistra di Maurizio Valenzi a cavallo tra il 1975 e il 1983.
Ranieri tende a riconoscere diversi meriti alle politiche rivolte al Mezzogiorno, e quindi verso Napoli, dai governi della Prima Repubblica. Egli coglie gli sforzi fatti – anche se tra molte contraddizioni – per difendere il destino produttivo della città, per la realizzazione di nuove infrastrutture (come la tangenziale e il centro direzionale), o l’impegno nel promuovere alcuni progetti di risanamento urbano, anche se naufragati rapidamente. Tra questi Ranieri cita, ad esempio, il Regno del Possibile, un importante progetto di riqualificazione del centro storico presentato in un convegno nel 1986, di cui ci siamo occupati anche noi di recente a proposito della riflessione aperta a 40 anni dal terremoto dell’80. Ranieri conferma che la presenza di Alessandro Natta a quel convegno – presenza di cui era a conoscenza solo lui in qualità di segretario provinciale del Pci – generò polemiche e dubbi tra i dirigenti del suo stesso partito e contribuì a rendere indigeribili le proposte avanzate dagli imprenditori napoletani.
Ma l’analisi di Ranieri diventa sempre più spietata con il passare del tempo e in particolare il giudizio si fa sempre più negativo quando, dopo Tangentopoli, nel dicembre del 1993 l’amministrazione della città passa nelle mani di Antonio Bassolino, che da sindaco prima e da presidente della Regione poi, governerà a lungo. “Per 18 anni la sinistra ha avuto il monopolio del potere politico a Napoli, alla conclusione di quel lungo ciclo i problemi di fondo della città, nella sostanza, appariranno gli stessi di prima”. Ranieri ritiene che in quegli anni furono smarriti alcuni capisaldi della cultura riformista della città, non fu più perseguito un progetto di sviluppo produttivo (il caso Bagnoli, con la triste storia dell’abbandono del polo siderurgico in cambio di un fumoso progetto di parco pubblico), e soprattutto fu smarrita la visione d’insieme con il vasto territorio metropolitano.
Poi la catastrofe dei rifiuti. “Quando la monnezza è cominciata ad apparire nelle strade, perché nessun occhio l’ha guardata, si è allarmato, ha denunciato o fatto qualcosa per fermarla in tempo?” si chiederà incredulo Raffaele La Capria. Ma Ranieri è ancora più severo nel suo giudizio: “a differenza di altre città a Napoli è prevalso l’immobilismo nel campo urbanistico, dei servizi, della pubblica amministrazione, del mercato del lavoro. C’è da riflettere per tutti. Per la sinistra in particolare, che per una lunga fase ha avuto responsabilità di governo a Napoli”.
Ranieri lo dice chiaramente, dunque. La responsabilità principale del mancato appuntamento con la modernità ricade proprio sulla sinistra che da Valenzi a Bassolino, passando da Russo Iervolino a de Magistris, ha governato la città per oltre 37 anni degli ultimi 45. Potrebbe essere più indulgente verso la sua stessa parte politica? Mancano nel ragionamento di Ranieri alcuni temi che potrebbero risultare delle attenuanti, come le ripetute crisi economiche che hanno colpito duramente il Mezzogiorno, le difficoltà demografiche e la fuga di centinaia di migliaia di giovani, la presenza endemica di una criminalità padrona di alcuni territori e di gangli fondamentali dell’economia e della politica.
Eppure il libro di Ranieri appare come l’ultimo sforzo di chi vuole che si sappia come sono andate le cose, ma che non ha più né la voglia né la forza di contrastare il corso della storia. Un grido strozzato, una voce che da forte diventa flebile, un invito alla ragionevolezza che, ad un tratto, si trasforma in gesto di disappunto con cui ci si allontana da qualcuno.
Ranieri ha dalla sua una storia di riflessioni acute e di comportamenti coerenti, è una figura irreprensibile nella storia della città, sarebbe stato sicuramente un ottimo sindaco, ma oggi getta la spugna, lascia il passo agli altri. Mette il suo messaggio in una bottiglia, sperando che raggiunga lidi più lontani, mani e menti più aperte.
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