Per volere del cardinal Martini, arcivescovo di Milano, quando venne canonizzato nel 1989 la sua statua venne collocata su una delle guglie del Duomo, di fronte alla Galleria, in compagnia di tanti altri personaggi illustri. E la sua tomba è tuttora metà di continui pellegrinaggi, soprattutto di giovani e famiglie: si trova nella chiesa parrocchiale di un borgo a una manciata di chilometri da Pavia, Trivolzio, dove il futuro santo nacque il 2 agosto 1897. Penultimo di 11 figli, venne battezzato con il nome di Erminio Filippo. Non ebbe un’infanzia facile. Quando aveva solo tre anni morì la madre, Angela Campari; pochi anni dopo anche il padre Innocente, che era oste, morì in un incidente stradale. Venne perciò accolto e cresciuto dai benestanti zii materni, che lo avviarono agli studi di medicina. Come ha scritto Cammilleri nella sua biografia, Riccardo Pampuri. Medico del corpo e dello spirito (Ares, 2022), Erminio nella sua breve vita (lasciò l’esistenza terrena il 1° maggio 1930, a soli 33 anni, l’età della morte di Cristo) “fu studente, soldato, medico”, oltre che – negli ultimi anni – “religioso nei Fatebenefratelli”, l’Ordine ospedaliero fondato da San Giovanni di Dio, così da rappresentare un punto di riferimento per “diverse categorie di persone”, alle quali ha molto da insegnare ancor oggi. Perché fu “studente cattolico, soldato cattolico e medico cattolico in un tempo in cui non era affatto facile essere l’uno e l’altro”.



Durante il primo conflitto mondiale, arruolato nella Sanità, si distinse per un’azione eroica. Nella disastrosa ritirata di Caporetto pose in salvo da solo tutto il materiale medico-sanitario precipitosamente abbandonato, conducendo per ventiquattr’ore sotto la pioggia battente un carro trainato da buoi. Terminata la Grande Guerra, con il suo strascico di sofferenze e devastazioni sociali e morali, riuscì a 24 anni a concludere gli studi di medicina e a laurearsi, per poi lavorare come medico condotto a Morimondo, un paese non lontano da Trivolzio e dove si trova una celebre abbazia cistercense. Qui il dottor Pampuri non si limita ad esercitare la professione, in modo esemplare, attento, preciso; si dedica anche all’assistenza gratuita dei più poveri e alle opere di beneficenza, sempre disponibile per chi avesse bisogno di lui a qualsiasi ora del giorno e della notte, al punto da essere soprannominato “dottor Carità”.  E invia anche regolarmente somme di denaro alle missioni, che chiamava “la mia banca”, donando gran parte del suo stipendio.



Ciò che lo muove è uno straordinario impeto missionario. Scrive alla sorella Longina, suora missionaria: “Prega affinché la superbia, l’egoismo o qualsiasi altra mala passione non abbiano ad impedirmi di vedere sempre Gesù nei miei ammalati, Lui curare, Lui confortare”.

È instancabile: impegnato nell’associazionismo cattolico, tiene conferenze formative per i giovani, che ne sono così affascinati da restare ad ascoltarlo fino a tarda ora. Intanto matura la vocazione religiosa. Avrebbe voluto entrare in un Ordine importante, ma gli è impedito dalle sue precarie condizioni di salute (lo tormenta una vecchia pleurite, forse contratta al fronte, le cui complicanze lo condurranno alla morte prematura).



Viene rifiutato sia dai Francescani che dai Gesuiti. Finalmente, il 29 giugno 1927, è accolto dai Fatebenefratelli come frate laico: infatti non volle mai, per umiltà, essere ordinato sacerdote. Sceglie il nome di Riccardo, come segno di riconoscenza verso don Riccardo Beretta, suo padre spirituale. Non cessa di fare il medico. Durante il noviziato esercita nell’ambulatorio dentistico di Sant’Orsola, a Brescia, di cui assumerà poi la direzione sanitaria.

“La maggior parte dei nostri dolori”, scrive in quel periodo, “proviene dal voler noi appoggiarci troppo ai mezzi tanto fragili e malsicuri quali sono le persone umane, che le più svariate e impreviste circostanze possono toglierci”. E aggiungeva: “Le croci non ci mancheranno mai, in qualsiasi via, in qualsiasi posto, e tanto maggiori saranno quanto più ci lasceremo condurre dall’orgoglio, dal puntiglio, dalle passioni. È solo amando […] che le croci diverranno leggere fino a scomparire”.

A cavallo tra il 1929 e il 1930 la pleurite si aggrava, e in pochi mesi le sue condizioni precipitano. Il 18 aprile 1930 viene ricoverato nell’ospedale San Giuseppe di Milano. Pur sfiancato dalla malattia, conserva il buonumore. Aveva scritto: “Signore, concedimi la grazia di essere strettamente unito a Te”. Viene esaudito il 1° maggio 1930, quando sale al Cielo circondato da una fama di santità. E il 1° maggio è il giorno in cui si celebra oggi la sua memoria liturgica, dopo essere stato proclamato beato nel 1981 e santo nel 1989 da papa Wojtyła, terzo medico del XX secolo ad essere salito alla gloria degli altari, dopo Giuseppe Moscati (canonizzato nel 1987) e prima di Gianna Beretta Molla (proclamata santa nel 2004).

Per don Giussani “San Riccardo fu tutto determinato – sentimento, pensiero e azione – dall’amore per cui Cristo si è fatto uomo e da un’energia di abbandono a Lui, che ha già vinto la morte”. L’amore a Cristo “si distese in lui in una serie infinita di gesti di attenzione agli uomini e alle donne che incontrava nei loro bisogni elementari, curando e sanando fino alla fine dei suoi giorni”.

Il nostro è un tempo in cui prevale la distruzione dell’umano in nome di una presunta assoluta autonomia dell’individuo, che in realtà l’allontana dal suo vero bene e dal bene di tutta la società. Invece fra Riccardo – umile discepolo di Cristo – è un modello di fede e carità che ci invita ad affidarci a Dio, presente nel volto dei nostri fratelli.

Il 13 dicembre a Trivolzio (Pavia), alle ore 21, nella Chiesa-santuario di san Riccardo Pampuri si terrà una presentazione dei due volumi “Riccardo Pampuri. Medico del corpo e dello spirito” (Ares, 2022), di Rino Cammilleri e “Giuseppe Moscati. Il santo medico” (Ares, 2022) di Paolo Gulisano. L’evento è organizzato dall’Associazione amici di san Riccardo Pampuri. Parteciperà, oltre agli autori, il vescovo di Pavia, mons. Corrado Sanguineti.

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