Siamo stati definiti “sonnambuli”: è questa l’immagine della società italiana affiorata dai dati del Censis, per altro scivolata via senza significative reazioni, obiezioni o repliche. Non manca, in effetti, una reale percezione di questa drammatica condizione che spesso si legge sui volti della gente sempre più delusa, preoccupata, spesso estranea e indifferente di fronte a un’attualità per contro carica di sfide impegnative: la guerra alle porte, l’emergenza climatica, l’invecchiamento della popolazione, l’incertezza economica… insieme ai tanti risvolti problematici che pesano sulla quotidianità, accentuano il sentimento d’impotenza e rassegnazione da tempo annidato in un mondo progressivamente impoverito di certezze valoriali e distante dai bisogni reali.
Un mondo che induce a rifugiarsi in un limbo protetto dove le paure sono sospinte ai margini insieme alla fatica di dirimere situazioni ingarbugliate e per certi versi inaffrontabili con le sole proprie forze: è sintomatico che il “sonnambulismo” delineato nel report pare a tratti attenuarsi rivelando qualche slancio di intraprendenza orientata unicamente a “una più pacata ricerca nel quotidiano di piaceri consolatori per garantirsi uno spicchio di benessere – magari temporaneo e reversibile – in un mondo ostile”.
Insomma anche quando si esce dal dormiveglia che mitiga le asprezze di contesti drammaticamente problematici, si rimane decisamente distanti dalla consapevolezza che costringerebbe a porre interrogativi cruciali attorno al destino dei singoli esseri umani e di un mondo globalizzato dai tratti complessivamente inquietanti.
Come affrontare questo diffuso torpore, questa desertificazione dell’umano che incrina e degrada con evidenza palpabile le nostre società mettendo in crisi le dinamiche di convivenza e di partecipazione alle questioni di interesse comune? Una riscossa sembra possibile solo recuperando il soggetto, l’“uomo tutto intero”, secondo l’espressione di Karol Wojtyla, oggi indebolito e rattrappito in un individualismo debilitante, che lo ha privato della propria identità, della capacità di distinguere il vero dal falso, il bene dal male. Un approfondimento di questa alienazione dell’umano che nel corso degli ultimi decenni ha prodotto un deleterio ribaltamento nella concezione stessa della vita e dei dinamismi sociali e politici, è contenuto in una recente pubblicazione intitolata La questione antropologica nelle politiche europee a cura di Domenico Menorello, Benedetto Delle Site, Maurizio Sacconi (Marcianum Press Occidenti/Orienti, 2024).
“Non siamo in un’epoca di cambiamenti, ma in un vero cambiamento d’epoca”: la nota espressione di Papa Francesco apre la trattazione in riferimento a un dialogo emblematico, ospitato nel gennaio del 1995 da Famiglia Cristiana e dall’Unità, fra Carlo Casini e Massimo D’Alema. Poco meno di trent’anni fa due personalità tanto diverse, condividevano una piattaforma valoriale comune tanto che l’allora segretario dei progressisti si diceva esplicitamente contrario “all’arresto deliberato di una vita”. Ai nostri giorni un fatto così non potrebbe essere prefigurato: oggi, infatti, nessun ideale appare più certo, riconoscibile e condivisibile anche perché – come suggerisce l’argomentazione – “Il nuovo tratto non-valoriale dell’attuale ‘epoca cambiata’ si manifesta (anche) in una inedita funzione della legge, dunque del potere pubblico”.
A lungo la stessa matrice culturale è stata condivisa su valori avvertiti come evidenti (ad esempio che la vita umana dovesse essere tutelata e curata sempre), ed è stata esplicitata nella giurisprudenza della Corte costituzionale che ha ritenuto “il diritto alla vita, il primo dei diritti inviolabili dell’uomo” in quanto “concorre a costituire la matrice prima di ogni altro diritto, costituzionalmente protetto, della persona” (sentenza 238 del 1996). Sappiamo dunque quale scardinamento abbia subito questo principio e come la centralità della persona, vero perno dell’antropologia costituzionale, sia stata pesantemente e sistematicamente contraddetta da un impressionante incalzare di leggi, provvedimenti e sentenze evidentemente condizionate da una matrice radicalmente diversa.
È interessante la documentata descrizione, proprio sul profilo giuridico-istituzionale, del cambiamento che in un breve periodo ha sradicato valori consolidati stravolgendo la fisionomia della società e il volto stesso dell’uomo. Un excursus sulle “nuove leggi” delinea puntualmente l’iter che ha infragilito il legame matrimoniale, la funzione sociale della famiglia, il valore assoluto della vita umana oggi dimensionato secondo il parametro, per altro soggettivo e variabile, di “vita dignitosa”.
La parabola legislativa orientata al misconoscimento della persona e dei suoi diritti fondamentali non ha più rallentato il suo corso: la privatizzazione dell’aborto con la RU 486, il tentativo del Ddl Zan di imporre l’ideologia “gender”, l’approvazione della proposta di legge per il “suicidio assistito”, costituiscono solo qualche esempio del cambio di passo che riguarda anche il contesto normativo internazionale ed europeo (vedi l’Agenda 2030 ai capitoli 3 e 5).
Si tratta di riforme attuate o attese nella mentalità dominante che lasciano trasparire – come nota Alfredo Mantovano – una visione antropologica secondo la quale il valore della vita coincide con la capacità del singolo di essere totalmente autodeterminato, autonomo, possessore del reale come un novello Prometeo che, quando è costretto a misurarsi con la fragilità e la finitezza della sua natura, perde significato fino a consegnarsi al totale annientamento, fino a considerare l’essere umano qualcosa di eliminabile, “uno scarto”.
Un’analisi lucida sul “cambiamento epocale” schiude un nuovo orizzonte svelando il punto nevralgico di un’evidente involuzione culturale e sociale che travaglia il mondo attuale: appare estremamente chiaro, accostando i contenuti proposti nel piccolo libro, quanto sia mistificatorio assecondare le trasformazioni in atto secondo l’idea sostenuta e diffusa dal potere politico e mediatico che spesso ha indotto a recepire i “nuovi diritti” come conquiste di una libertà incondizionata ed esaltante, o comunque come indicatori di un fenomeno incontrovertibile di fronte al quale ogni opposizione risulterebbe sconveniente, oltre che segno di ottusità e di regresso.
Nelle stesse pagine affiora tutt’altra convinzione: “Proprio il “cambio d’epoca”, allora, sembra offrirci la privilegiata occasione per riconoscere, da un lato, quale “idea di uomo” individualista e “a dignità variabile” sia proposta dalla mentalità dominante e, dall’altro, per stupirci di nuovo davanti a un’antropologia più ragionevole e affascinante di quella di quel novello Prometeo che appare ispirare anche il tentativo di introdurre nuove leve legislative, inneggianti all’autodeterminazione, con un intrinseco esito di abbandono di soggetti fragili”.
È intensa e suggestiva la sfida di una ricerca dell’uomo oggi sempre più inconsapevole di sé, dimentico delle proprie origini e della storia che lo precede: “Sulla bocca dell’uomo moderno la parola coscienza significa il luogo dove uno genera i suoi pareri, i suoi pensieri, e ha il diritto di affermare quel che pensa e sente, perché intende sé come la sorgente di tutto” nota don Luigi Giussani rivelando i tratti dell’essere umano per quello che realmente è, quale essere creato, chiamato all’esistenza da un Altro, abitato da un’infinita sete di senso, da un incommensurabile desiderio di bellezza, di verità, di amore.
L’alternativa si staglia con evidenza ponendo la questione decisiva: quale concezione dell’umano appare più ragionevole?
Affiora così la domanda chiave che attraversa l’intera argomentazione scaturita dall’esperienza di circa cento associazioni italiane di ispirazione cristiana riunite nel network “Ditelo sui tetti”, da tempo impegnate a diffondere nella dimensione pubblica una visione sociale e politica improntata al rispetto della persona nella sua interezza e in opposizione alle logiche individualiste orientate alla “cultura dello scarto”. E proprio dalla concretezza di un lavoro “sul campo” che inizia nell’incontro fra persone, nella considerazione dei limiti e dei bisogni che attraversano ogni umana esistenza che chiede di essere accompagnata verso il compimento, può rinascere l’uomo vivo, “tutto intero”, in grado di riconoscere la menzogna che rischia di narcotizzarlo e annientarlo. Può rinascere così una comunanza di intenti, “una nuova Agenda di idee a sostegno del lavoro delle istituzioni e dei popoli del continente, perché l’Europa ritorni a dare a tutta l’umanità, a questo mondo letteralmente in fiamme, il suo apporto di dialogo e di pace”.
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