Ritorno a Bagdad. Ovvero prima del tramonto della bellezza (Aracne, 2018) di Maurizio Modugno è un libro singolare di un autore anche lui singolare. È un libro singolare perché ha tre aspetti fusi molto bene tra loro: da un canto, è un romanzo avvincente che, nonostante non sia breve, si legge con passione anche nel giro di tre giorni; da un altro è la biografia (per l’80 per cento vera e documentata, e per il restante romanzata) della vita del nonno dell’autore, iracheno cattolico successivamente naturalizzato italiano; da un altro ancora, è la rievocazione di un’epoca, dagli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale all’inizio della seconda. In quel periodo, il Vicino Oriente (con città come Bagdad, Damasco, Alessandria d’Egitto, il Cairo, Beirut, Tripoli di Siria) era il “mondo della bellezza”, ma al “tramonto”, come dice suggestivamente il sottotitolo; ed è, in questo contesto, anche la rievocazione di una diplomazia che, ai tempi di internet, non c’è più.



Ricorda la frase di Talleyrand, posta come incipit di uno dei primi film di Bernardo Bertolucci: “Chi non ha vissuto prima della Rivoluzione non conosce la dolcezza del vivere”.

L’autore è singolare perché ha avuto, in parallelo, ruoli importanti nella pubblica amministrazione – come responsabile del settore musica classica della discoteca dello Stato e come dirigente al dipartimento editoria della Presidenza del Consiglio – e nella musicologia – ha scritto libri fondamentali su Respighi, Massenet, Christoff e Schippers – nonché nella critica musicale militante per il mensile Musica ed altre testate. Diventato sacerdote, è parroco della Chiesa di San Valentino al Villaggio Olimpico a Roma. La sua profonda cultura traspare in questo libro dal fatto che ciascun capitolo è aperto da un brano di un poeta o scrittore arabo.

Il protagonista, Davìd Dayik, è testimone attivo di un mondo scomparso, quello che nell’arco temporale della sua esistenza umana (1889-1941) lo vede nella Bagdad ottomana e nel Libano francese, nel milieu dei consolati e delle legazioni a Beirut, Tripoli di Siria, Il Cairo, Alessandria, di nuovo a Bagdad, questa volte non più come impiegato d’ordine di consolato ed ambasciata d’Italia (aveva iniziato da dragomanno ossia corriere e portatore di messaggi) ma come uomo dell’intelligence italiana. Un “mondo antico” che fa da sfondo ai più svariati incontri con aristocratici e pastori, con frati battaglieri e intellettuali, con Lawrence d’Arabia e Toscanini, con re e principi, con dittatori e politici. Un’esistenza appassionante, rievocata nel suo fascino e nella sua umanità. Alcuni momenti sono da thriller: il protagonista, accusato dai turchi di essere una spia, viene condannato a morte ma a poche ore dall’esecuzione Damasco cade, con l’arrivo di Lawrence d’Arabia e delle truppe degli arabi alleati con gli inglesi, e viene liberato.

Non è questa la sede per riassumere le vicende della vita di Dayik, anche per non farne perdere il piacere ai lettori che vorranno gustare l’evolversi delle avventure che si dipanano in gran parte nel Vicino Oriente ma anche in Italia in un periodo molto complicato. Avventure in cui il protagonista è sempre sostenuto dalla fede e dagli insegnamenti del Collège Saint-Joseph di Bagdad.

L’aspetto più affascinante del libro (riccamente illustrato con foto d’epoca) è la maniera in cui, con una prosa elegante, vengono ricreati i colori, i profumi, la musica dei luoghi e dei tempi della vita di Dayik. Ho avuto modo di conoscere gran parte di quei luoghi tra il 1969 ed il 1980 quando lavoravo in Banca Mondiale, molti anni dopo le vicende trattate nel libro. Nel volume ho ritrovato il profumo delle rose di Bagdad, l’odore delle spezie di Ksar-El-Nil e l’architettura di Garden City al Cairo, i cieli azzurri di Alessandria e di Damasco, il vento sulla cornice di Beirut, e tante altre cose.

Non è, però, una rievocazione soltanto nostalgica. Tornando al “tramonto” del Vicino Oriente di quei decenni (ed all’interazione con l’Italia e con l’Europa) si possono comprendere le contraddizioni e le tensioni di oggi, in parte accentuate, ove non provocate, da una transizione repentina dagli Imperi multinazionali a Stati a volte privi di una Nazione ad essi sottostanti.

È quindi un volume che interessa non solo a chi è appassionato di narrativa e storia ma anche a chi, tornando alla Bagdad (e non solo) della prima metà del secolo scorso, vuole afferrare meglio la geopolitica di oggi. Vuole, in particolare, comprendere anche le difficoltà dei vari “piani di pace” per l’area (pure quello recentissimo proposto dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump) se non si dà alle “nazioni” della regione l’autonomia linguistica, culturale e religiosa di cui godevano ai tempi degli Imperi.

Libro, per questo,  da leggere e rileggere.