Molti di loro sono italiani che vivono e lavorano in Svizzera. Altri invece sono proprio svizzeri di lingua italiana, francese o tedesca. E vengono tutti, alla fine ne ho contati più di trecento, dai diversi cantoni, attraversando montagne innevate che adesso si specchiano nel lago, sotto un sole che nessuno si aspettava. È così che ci ha accolto il Collège Champittet di Losanna per la due giorni organizzata per celebrare il centenario della nascita di don Luigi Giussani.
Tra le strade che scendono verso la riva del lago ci accoglie una scuola che, come il sole, nessuno si aspettava. Dentro un parco di alberi secolari ci sono la casa delle scienze con i laboratori di fisica, chimica e biologia; il corpo centrale con le aule e gli uffici e il ristorante; la palazzina con le abitazioni degli alunni interni; il teatro, le palestre, i campi sportivi, la pista di atletica, le canoe e le tavole pronte per essere messe in acqua. E ancora spazi espositivi e in fondo al corridoio una chiesa ampia, con splendide vetrate.
In questo scenario che da solo metteva addosso invidia e meraviglia sono stati organizzati incontri, mostre, presentazioni. Sabato 19 novembre, ha cominciato Javier Prades; poi hanno continuato Silvio Cattarina e i ragazzi della sua comunità “L’Imprevisto” che hanno raccontato come si possa uscire dal male della droga e tornare a vivere con la certezza di un bene più grande per la vita di ciascuno di noi; infine ha parlato Charles Morerod, arcivescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo. Domenica la Messa con padre Mauro Lepori, abate generale dell’ordine cistercense, con la chiesa gremita soprattutto di giovani, con tanti bambini che stavano anche sul sagrato, nel parco antistante; e subito dopo Julián Carrón, che è intervenuto sul Miguel Mañara di Milosz. Poi – dopo il pranzo che verrebbe voglia di raccontare, perché anche questi sono dettagli che contribuiscono a costruire la poesia dei giorni – di nuovo padre Lepori.
Durante la due giorni è stato possibile visitare una mostra sull’opera dello scultore svizzero Alberto Giacometti e una piccola mostra sul Miguel Mañara di Milosz; vedere un video commovente in cui alcune persone che vivono in Svizzera hanno raccontato il loro incontro con don Giussani; visitare uno spazio allestito dalle Famiglie per l’accoglienza in cui è stato possibile conoscere il cuore generativo dell’esperienza che ha del miracolo vissuta da queste famiglie.
Mi accorgo che ho fatto un velocissimo elenco di cose di cui sono stati pieni questi due giorni a cui ho avuto la fortuna di essere invitato e partecipare: altri forse si soffermeranno come sarebbe necessario – ci vorrebbero pagine e pagine – su ognuno di questi incontri, interventi, o mostre. Io sento quasi l’urgenza, invece, di fissare nella memoria gli occhi di quelli che lì ho incontrato, lo sguardo dei giovani di Losanna, che hanno proposto alla scuola prestigiosa dello Champittet un evento come questo; la libertà con cui molti di questi ragazzi si sono portati dietro i figli a incontrare gli amici che non si possono vedere spesso; o il coraggio di avere invitato altri, nuovi amici a essere lì: a sentire parole profondissime e così inusuali nel piccolo grande mondo senza direzione in cui viviamo, certo. Ma ancora di più a vedere, letteralmente e carnalmente, la speranza che li abita tutti e con cui sono in grado di costruire le loro case, le loro famiglie, la casa intera del mondo.
Ecco, riconosco che il mio cuore vive una distanza abissale dal cuore di questi amici, ben più dei 400 chilometri che separano Milano da Losanna. Eppure questa distanza non mi ha impedito di essere terribilmente felice. E non a caso uso questo termine, perché alcune delle esperienze appassionate che ho visto tra alcuni di loro – e in particolare tra le persone delle Famiglie per l’accoglienza e tra i giovani de L’imprevisto – sono tanto luminose e sovrabbondanti che lasciano prima ancora che ammirati quasi terrorizzati da quanto possa fare un amore mosso da una certezza di bene. Tutta quella distanza si è trasformata in una commozione vera: nel desiderio che anche per me potesse accadere qualcosa che lì era totalmente presente.
Così il centenario di don Giussani non è stata una celebrazione: Giussani era lì, vivo e carismatico dentro quella gente che veniva da posti lontani e diversi e che lì erano davvero a casa. Dove c’era l’origine del loro cuore che don Giussani gli ha fatto scoprire e da cui tutto nasce.
E anch’io mi sono sentito finalmente a casa. E ho pensato che il Papa, che aveva chiesto libertà, speranza e coraggio al popolo di Cl durante l’udienza speciale, avrebbe proprio visto che lì quelle tre cose abitavano insieme. E ne sarebbe stato felice.
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