La sinistra ha scatenato contro Eugenia Roccella un attacco a tutto tondo, prima ancora che fosse nominata ministra. Forse tutto è cominciato ai tempi del primo Family Day quando, in modo del tutto inatteso, insieme a Savino Pezzotta, che guidava con lei quella manifestazione, portarono in piazza San Giovanni a Roma il 12 maggio 2007 oltre un milione di persone, uguagliando, e in molti casi battendo, record che fino ad allora solo la sinistra era riuscita ad ottenere. Almeno questo è quanto si è sempre affermato in casa Pd.



Porre il tema della famiglia al centro del dibattito politico sembrava allora una sfida che non avrebbe mai raggiunto i confini larghi di piazza san Giovanni, cuore nevralgico della città di Roma. Quel giorno tutte le famiglie erano invitate a partecipare a questa manifestazione per dare vita al Family Day, che era stato preceduto da un Manifesto sottoscritto il 19 marzo 2007 da vari gruppi in gran parte di ispirazione cattolica, ma non solo.



Il Manifesto proponeva una visione della famiglia che allora appariva di tipo “tradizionale”, ma che oggi invece risulta decisamente “rivoluzionario”, controcorrente, rispetto al pensiero dominante che la sinistra ha lungamente diffuso e continua a diffondere in questi ultimi anni. Si tratta di iniziative diversissime, anche di natura legislativa, che ancora oggi tentano di smontare pezzo per pezzo quel vecchio Manifesto, che affermava che la famiglia è “fondata sull’unione stabile di un uomo e una donna, aperta a un’ordinata generazione naturale, dove i figli nascono e crescono in una comunità d’amore e di vita”.



Per ottenere questi obiettivi i suoi firmatari chiedevano che il Parlamento adottasse “un progetto organico e incisivo di politiche sociali in favore della famiglia: per rispetto dei principi costituzionali, per prevenire e contrastare dinamiche di disgregazione sociale, per porre la convivenza civile sotto il segno del bene comune”. Non si trattava quindi di una manifestazione antigovernativa, ma di una “difesa della famiglia così come era indicata nella nostra Costituzione”. Niente di più e niente di meno. Eppure da allora abbiamo assistito a un tentativo sistematico da parte di una certa sinistra di smontare quelle poche righe che del Manifesto costituivano l’assenza.

Questa è la “colpa” di Eugenia Roccella, assai prima di diventare ministra della Famiglia. Non è il ruolo che svolge attualmente, ma quello che ha avuto il coraggio di affermare assai prima di diventare ministra e che ha ribadito in numerose occasioni. È ciò che dice a essere contraddetto, a volte ridicolizzato o comunque preso d’assalto, sempre messo sistematicamente sotto processo. Sono quei valori che creano tensione e a volte un rifiuto netto: a cominciare dal diritto di un bambino a nascere con una “ordinata generazione naturale”, e quindi ad avere un padre e una madre, che abbiano una relazione stabile, per poter contare su una famiglia che lo ami e gli garantisca un’educazione completa.

Era il punto centrale del famoso Manifesto, che in certi ambienti creava scandalo allora e continua a creare scandalo anche oggi. E quindi Eugenia Roccella, non la ministra ma la persona, viene attaccata, anche e soprattutto, quando racconta con sincerità  la sua storia personale e familiare, politica e culturale; quando fa emergere il suo passato di femminista, impegnata a tutela dei diritti delle donne fin dalla sua vita di liceale. Bisogna leggere la sua recente autobiografia, in cui la storia della sua famiglia si intreccia con quella del Partito radicale, in un libro dal titolo suggestivo: Una famiglia radicale (Rubbettino 2023), che si legge come un romanzo, nonostante l’estrema accuratezza delle fonti, il rigore delle citazioni e soprattutto la solidità delle argomentazioni.

È il suo ultimo libro e in realtà è una storia del partito radicale, ricostruito attraverso i rapporti personali dei suoi protagonisti, le loro amicizie e le inevitabili lotte,  le contraddizioni e le strategie. È un libro da cui emerge una visione politica lucida e sofferta, forse disincantata, ma certo solidamente ancorata a fatti concreti, in cui emergono vizi e difetti di molti protagonisti radicali, ma della sinistra di allora si coglie un’ambiguità che non lascia assolutamente indifferenti. Ed Eugenia Roccella, protagonista allora e protagonista ancora oggi, sia pure con convinzioni diverse, filtrate attraverso l’esperienza personale e familiare, politica e professionale, appare come una delle persone più colte e preparate proprio su queste tematiche che ruotano intorno al femminismo.

Se poi Eugenia Roccella afferma: “Ho imparato dal femminismo che l’aborto non è un diritto”, non ci si può stupire che le voci che si sollevano contro di lei abbiano una visione del femminismo unilaterale e parziale. Non a caso oggi si sente l’urgenza di parlare di femminismi, distinguendo tra i diversi Movimenti posizioni diverse, che meritano un’analisi critica anche per valutare cosa realmente supporta e garantisce i diritti delle donne, e cosa invece li mette drammaticamente in discussione.

Basta pensare alla recente polemica sull’utero in affitto, in cui le donne sono utilizzate e soggette a un processo di compravendita di uteri e ovociti. Ma per l’opposizione si tratta di gabbia culturale in cui hanno rinchiuso le donne, mentre per Roccella la vera sfida è “ripartire dal senso del materno”, come ha affermato a Milano il 30 aprile 2022 scorso. E il materno è il femminile per eccellenza. Anche questo è apparso scandaloso ad alcune giornaliste schierate a sinistra.

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