A distanza di trent’anni dall’ultima esibizione dei Dire Straits, ci ha pensato John Illsley, uno dei membri fondatori e bassista durante tutto il ciclo di vita del gruppo, a colmare il vuoto nella biografia ufficiale della band con la pubblicazione di “La mia vita nei Dire Straits” (EPC Editore).
In realtà il libro ci impiega un po’ ad ingranare, il primo quarto si focalizza sull’infanzia di John IIlsley, decisamente non una lettura indispensabile. Il racconto si fa però avvincente da quando l’autore incontra dapprima David Knopfler (suo compagno di appartamento) e successivamente il fratello maggiore Mark: “Davanti a una pinta dopo un concerto Mark mi aveva chiesto: perché non fondiamo un gruppo?”. La leggenda dei Dire Straits ha così inizio nella primavera del ’77. Con l’innesto di Pick Withers, un batterista già con una certa esperienza, i quattro ragazzi del distretto londinese di Lewisham iniziano la loro classica gavetta fatta di sessioni in appartamento, di rifiuti, di esibizioni davanti a nessuno e di accordi strampalati appena sufficienti per ripagare le birre bevute. “In un periodo in cui la disco e il punk erano le sonorità dominanti, alla moda” avviene l’esordio dal vivo, con il nome Cafè Racers, proprio in un festival punk con la band nel ruolo di “quelli strani, i disadattati”. È proprio “quel rock’n’roll con un tocco di blues che suona così americano” a catturare l’attenzione degli ascoltatori e dei discografici.
Nel tempo il suono della band si sarebbe evoluto con l’introduzione delle tastiere conquistando il grande pubblico, ma decisivi sono stati il sound dal sapore a stelle e strisce di Sultans of Swing e la promozione radiofonica di Charlie Gillett, primo DJ a credere in loro e a trasmettere il brano per Radio London. “Più vicini ai trenta che ai venti”, dal piccolo mondo di Depford, i Dire Staits conquisteranno presto il successo: il ricordo dell’esibizione di Lafayette di Wolverhampton, davanti ad un pubblico di due persone, viene presto sostituito dai tour planetari e dai concerti sold out di Love over Gold e di Brothers in Arms.
Per chi conosce bene la band inglese, i racconti di Illsley sono solo un ripasso generale, ma tanti sono gli episodi e le curiosità citate nel libro come le ragioni della scelta del nome, attribuibile ad un coinquilino di Pick che lo avrebbe apostrofato come “Dire Straits” (con l’acqua alla gola, in gravi ristrettezze) vedendolo sempre in gravi difficoltà economiche. O ancora la scelta del titolo Sultans of Swing che prende spunto dal nome di una jazz band amatoriale che Mark e David avevano visto in un pub mezzo vuoto di Greenwich.
Nella lettura si scoprono anche le origini della mitica fascia da tennista di librilibrilibri utilizzata per la prima volta in un’esibizione estiva al Marquee di Londra per evitare che il sudore gli andasse negli occhi e che rendesse scivolosa la chitarra, da allora è diventato un oggetto indispensabile sul palco come se fosse un amuleto portafortuna. Nel libro sono riportati anche dei fatti spiacevoli per la band come quelli della registrazione del terzo album Making Movies in cui si rende manifesta la frattura tra Mark e David e la difficoltà di David di accettare il fratello maggiore come leader del gruppo. David durante quelle sessioni abbandonerà definitivamente la band ma continuerà a portare avanti la sua musica solista con alterne fortune.
Un grande rimpianto dei fan, soprattutto dei giovani che non hanno potuto vivere la band in presa diretta, è che la storia del Dire Straits sia durata troppo poco. Per lungo tempo il pubblico ha sperato in un ripensamento di Mark & co. e in una fantomatica reunion, che purtroppo non è mai arrivata. In realtà la storia dei Dire Straits si sarebbe potuta interrompere anzitempo, già con la conclusione del Brothers in Arms tour nell’aprile del 1986. Mark e John, i soli due fondatori rimasti, erano scarichi: “Dopo questo giro di 248 concerti, e dopo quasi dieci anni di strada, e di va e vieni tra studi, aeroporti, alberghi, pullman, impegni mediatici e location di concerti, non c’era nessuna voglia di ricominciare immediatamente con quello stile di vita massacrante”.
La vita dei Dire Straits si prolunga comunque fino alla realizzazione dell’ultimo album On Every Street e del relativo tour di addio dei record (7 milioni di spettatori) dove “l’ultima nota suonata dai Dire Straits” porta la data del 9 ottobre del 1992 a Saragozza. “Il tour era finito e i Dire Straits erano finiti. Lo scioglimento del gruppo non fu mai annunciato formalmente ma dentro di noi, Mark ed io, ci rendevamo conto di essere arrivati alla fine di una lunghissima strada”.
Mark Knopfler è stato il leader, l’autore dei testi, il principale compositore delle musiche degli Straits, nonché l’artefice di un modo unico di suonare la chitarra: della sua carriera stellare e delle sue collaborazioni successive conosciamo già tutto. Invece non tutti sanno che anche John Illsley, oltre a dedicarsi alla pittura con una discreta notorietà, ha continuato a suonare realizzando complessivamente sette dischi da solista, riuscendo finalmente a combinare un giusto compromesso tra famiglia e professione che la vita alla ribalta e amplificata nei Dire Straits aveva reso insostenibile. “Ci siamo dimostrati all’altezza delle aspettative per molto tempo continuando sempre a migliorare, invece di abbandonarci a un lento declino e alla fine collassare, soprattutto perché ci siamo presi cura di noi”.
Il merito del libro, oltre a ripercorrere la storia della band vista dagli occhi di un protagonista, è di farci ricordare, se mai ce ne fosse bisogno, che quello dei Dire Straits è stato un viaggio fantastico che ha lasciato in eredità una musica straordinaria che non ci stancheremo mai di ascoltare.