Sarà un caso che il libro cominci in una domenica, 24 maggio, giorno di nascita di Bob Dylan? Usa un escamotage brillante, Massimo Bubola, nel suo terzo e nuovo romanzo. Si nasconde dietro la figura del protagonista, l’anziano Callimaco, ormai sul suo letto di morte, intento a narrare la sua lunga, tormentata e appassionante vita, per, di fatto, scrivere la sua biografia. E’ facile sin dalle prime pagine infatti individuare nelle parole dell’anziano, le parole che lo stesso Bubola potrebbe dire, e sappiamo aver pensato: “Quello che non si può ricordare o rivivere, si può ancora cantare. Le canzoni non si dimenticano mai, e mai loro si dimenticano di te”. E’ immediatamente un tributo alla musica, alle canzoni. E mentre il vecchio si lascia andare a un tenero, lugubre e appassionato canto di addio, rivediamo la lunga carriera musicale di questo straordinario autore di canzoni. Canzoni che vengono citate qua e là nelle pagine e anche spiegate direttamente: “È la canzone del reietto. Di chi sta fuori. Dell’ultimo della comunità. Una composizione che accomuna tre figure di poveri: quella del Servo pastore, del Faqir egiziano e del Pharmakos dell’antica Grecia” dice il protagonista quando il nipote, sentendolo cantare i versi del Canto del servo pastore, scritta da Bubola con Fabrizio De André, gli chiede di che parli.



Non cercate però in Sognai talmente forte (Mondadori, 152 pagine, 18 euro) una classica biografia, data di nascita, adolescenza, matrimoni, divorzi, tournée, studi di registrazione. Troverete invece la biografia dei sentimenti e delle emozioni di questo grande artista, rivelate rivivendo alcune delle tante sue canzoni, a volte romanzate, a volte oniriche visioni, a volte ricoperte di significati politici e esistenziali. D’altro canto Massimo Bubola è sempre stato un poeta.



Perché Massimo Bubola, ancora giovane e nel pieno delle forze abbia sentito di identificarsi con una persona morente non lo sappiamo, ma è una idea intrigante, come se l’autore avesse sentito il bisogno di fare il punto su una esistenza ricchissima di eventi, di creatività, di sfide, ora vinte, ora perse, con grande umiltà e sincerità: “Quanto hai imbrattato la tua vanità d’inchiostro, d’inchiostro sterile? Credevi, scrivendo forte, usando la penna come uno scalpello, di disobbligarti con la Fortuna che ti aveva baciato furiosamente sulla bocca per discolparsi di essere arrivata così in ritardo e inaspettata? Ma che bacio doloroso fu quello che ti lasciò col cuore destro disseccato e il cuore sinistro sanguinante?”. Lo capiamo a un certo punto il perché: si muore non di vecchiaia o di malattia, ma quando si perde il gusto per la bellezza delle cose che fanno la vita: un nonno muore perché è troppo vecchio per i suoi vizi. Muore perché non può bere né vino, né grappa, né whisky, né rum, né gin, né tequila e neanche i suoi cocktail preferiti come il Martini, il Negroni, la Margarita e il Pisco che tanto ha amato. Non può più fumare sigarette né sigari, né mangiare i fritti, né il gulasch, né le ostriche, né le cotiche coi fagioli, la trippa in brodo o la finanziera. Muore perché non gli si drizza più. Muore perché è quasi cieco e non riesce più a leggere i mille libri che ha solo iniziato e gli fanno la posta nel bagno, in studio, in salotto e perfino in cucina. Muore perché gli tremano le mani e fa fatica a scrivere anche il suo nome e ad accarezzare i capelli di Ermelinda e a fare le sue magie di destrezza con le carte. Muore perché si è rotto i coglioni di questo mondo che coltiva sempre di più la mediocrità, l’apparenza e la tendenza”.



Naturalmente, da amante della tradizione della sua terra, il Veneto, Bubola non manca di colorare le pagine con tanti ritratti, di persone, di case, anche di semplici mobili, soffitti, affreschi, paesaggi.

Il suo linguaggio, ma lo sapevamo già, è ricco, colto, pieno di riferimenti al mondo classico dell’antica Grecia, a quello leopardiano e manzoniano. In questo libro ancora di più. C’è un lavoro attento e profondo all’uso di ogni parola, di ogni frase, qualcosa che appartiene al passato, visto quanto la letteratura di oggi si sia impoverita, trascurata, banalizzata, addirittura “inglesizzata” e imbastardita, perdendo la bellezza di una lingua, la nostra, che ha pochi paragoni al mondo. Così Bubola si impegna in una doppia missione: narrare la sua vita, le sue creazioni e al tempo stesso rivalutare e onorare la scrittura.

Alla fine, ci si lascia con il senso del mistero che fa le cose: “Mi dicesti nella canzone che la nostalgia ti si era attaccata per di dentro e ti aveva bloccato la lingua e sigillato le orecchie. Nostalgia di qualcosa che non avevi mai visto, ma solo immaginato e sconsolatamente atteso”.

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