Cosa hanno in comune George Harrison, Leonard Cohen, Joni Mitchell, Patti Smith, Bob Dylan, Tori Amos, Yusuf / Cat Stevens, Sinéad O’Connor, Nick Cave, PJ Harvey e Matthew Malley (ex bassista e chitarrista dei Counting Crows)? Una lunga serie di dischi e canzoni bellissime, ovviamente. Ma perché includere proprio questi artisti in un libro? La risposta la dà Noemi Serracini, autrice di “Rock’n’Soul, storie di musica e spiritualità” (Arcana, 176 pagine, 15 euro): “Si tratta di songwriter che si muovono sul confine del sacro, una linea che oggi rischia di perdersi, perché allo spirituale si sostituisce sempre di più il commerciale, come se le due cose non potessero più coesistere all’interno di una stessa linea melodica (metaforica, ma anche reale). La musica, spogliata della sua dimensione spirituale e sacra, diventa puro intrattenimento. Ciò che si perde in una prospettiva di questo tipo è soprattutto la capacità dell’arte di compiere trasformazioni collettive, una prerogativa che il rock conosce bene”.
Noemi (autrice e conduttrice radiofonica; collabora con il gruppo RTL 102.5 e conduce il Rock Morning Week End di Radio Freccia; ha realizzato format radiofonici, scritto e diretto spettacoli teatrali e soprattutto, ci tiene a sottolineare, “da anni pratica la meditazione”) ha così messo insieme un gruppo di artisti in cui la dimensione spirituale è sempre stata primaria. Ma attenzione: non siamo parlando di religiosità legata a una Chiesa o a un credo particolare, molti di questi autori non sono praticanti in senso stretto, ma di quella dimensione dell’umano, che appartiene a tutti, pur essendo, soprattutto in questa epoca moderna, tenuta nascosta, derisa, considerata superata o inutile.
Tutta la musica, e qualunque espressione artistica, è o dovrebbe essere il grido dell’anima che cerca di esprimersi e districarsi, una ricerca del Mistero che fa tutte le cose. Dice ancora Noemi: “Qualunque sia la forma, si tratta di un’esperienza che travalica i limiti del linguaggio, e che in quanto tale andrebbe vissuta. Lo stato di meditazione, ho scoperto, coincide con il raggiungimento della consapevolezza senza pensieri, una condizione di assoluta lucidità in cui si riesce a vivere l’esperienza del silenzio interiore”. Ecco, quel silenzio dove si annida il nostro Io più profondo e che più ci definisce. Averlo dimenticato, ci ha reso zombie che nella tecnologia, in Internet, nel consumismo come lo intendeva Pasolini, consumano una dispersione quotidiana.
Nella sua introduzione, Massimo Granirei, sacerdote passionista ma anche profondo conoscitore di musica rock e autore di libri di grande valore come “Il rock’n’roll con tanta anima” lo dice perfettamente: “Noemi investiga con autorevolezza nella scrittura di Patti Smith, di Joni Mitchell, di Nick Cave e tanti altri. Scopre e ipotizza la genesi di canzoni che offrono una tregua nelle nostre guerre quotidiane. Probabilmente il lavoro in radio ha affinato il suo udire, la percezione distinta del desiderio in mezzo al frastuono del rock’n’roll, fino a riconoscere un suono a cui dare un volto. L’autrice ha un’identità chiara che straborda dalla meditazione, un’esperienza spirituale che la porta a trascendere, fin dove lo capiremo leggendola. Queste pagine raccontano come agisce nell’arte lo Spirito, che è bellezza, verità e bontà. Lui offre una visione del mondo compassionevole e inclusiva, illuminando il talento dei cantanti. L’autrice indaga in questo agire misterioso di un’entità che fatichiamo a chiamare per nome, ma comunque reale e forte nell’operare”.
Ecco perché questo libro è un lavoro originalissimo e importantissimo, che apre a un ascolto nuovo e illuminante, di cui tutti dovrebbero fare esperienza. Dà un nome a quel sentimento dell’indicibile che tutti noi appassionati di musica abbiamo sperimentato quando ci siamo messi all’ascolto di un disco.
Ognuno dei personaggi prescelti da Noemi ha la sua storia, il suo percorso, la sua originalità, la sua differenziazione, ma quello che li caratterizza è che, nella loro carriera (sia stato il successo mondiale di un George Harrison, la nostalgia mai sopita per un figlio dato in adozione a vent’anni di Joni Mitchell, la rabbia e la domanda bruciante di un Bob Dylan, la carnalità e lo spirito, la sessualità e la trascendenza di un Leonard Cohen, anche l’esperienza traumatica dello stupro come successo a Tori Amos), a un certo punto si è creata una collisione, con l’aspetto esteriore imposto dalla vita rock, dal grande successo, e la nostra più intima consistenza. La stragrande maggioranza dei musicisti rock cerca di annichilire questa collisione, con alcol, sesso, e droga. Molti si uccidono perché la collisione rivela una incapacità, una insostenibilità in un mondo che sempre più tende a soffocare questo anelito che invece è dentro ciascuno di noi. Chi invece decide di fare i conti con questa collisione, va a fondo di un mistero che aprirà a orizzonti impensabili. Come quello che individua benissimo Nick Cave: “Benché la Canzone d’Amore si manifesti in forme diverse – canzoni di esaltazione e preghiera, canzoni di rabbia e disperazione, canzoni erotiche, canzoni di abbandono e perdita – tutte si rivolgono a Dio, perché è la casa stregata dal desiderio nella quale abita la vera Canzone d’Amore. […] La Canzone d’Amore è il suono dei nostri sforzi per diventare come Dio, per risorgere ed elevarci sopra gli esseri terreni e i mediocri. Io credo che la Canzone d’Amore debba essere una canzone triste. È il rumore del dolore stesso”.
Già, perché l’errore più grosso che si possa fare è pensare di eliminare il dolore dalla vita umana. Quello che ci deve mantenere in un rapporto di apertura verso la realtà, lo suggeriscono le parole di Joni Mitchell in Urge for going, quel desiderio immanente di movimento e di ricerca incessante perché nulla ci può mai soddisfare pienamente: “Quando il sole diventa freddo traditore / E tutti gli alberi tremano in una fila nuda / Mi viene voglia di andare ma non mi sembra mai di andare / Ho voglia di andare”.
Ogni capitolo è un approfondito excursus nella carriera di questi artisti, svolto con ampia conoscenza e dettagli approfonditi che arricchiscono il godimento della lettura. Il libro contiene anche una “bonus track”, una conversazione con l’ex bassista e chitarrista dei Counting Crows, Matthew Malley, che si definisce “un ricercatore spirituale” che attraverso la meditazione (lo Sahaja Yoga) è riuscito a trovare pace all’ansia che lo perseguitava: “La musica, per sua stessa natura, è qualcosa di spirituale, quindi provo a vedere il divino in ogni nota che compongo o suono. Lo stesso vale per la mia vita: cerco di vedere il divino al lavoro in tutto” dice. Il libro si conclude con una postfazione del giornalista Adriano Ercolani. Da sottolineare la bellissima copertina di Claudia Intino, in arte Gubrin.
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