Se il nome (e cognome) Titta Colleoni non vi dice nulla, proviamo in un altro modo. Festival di San Remo, edizione 1971. All’Ariston si presenta un iconoclasta Lucio Dalla con una canzone travagliata e sforbiciata dalla censura, 4 marzo 1943. Sul palco, aggrappato ad una chitarra muta, c’è Titta Colleoni. Oppure, ancora meglio, 1973, Edoardo Bennato debutta con l’album Non Farti Cadere Le Braccia. Tra i musicisti, al pianoforte e questa volta per davvero, di nuovo lui, Titta Colleoni.



Storia del rock italiano, di quella con la S maiuscola, che Colleoni frequenta, non solo da spettatore, per tutti gli anni Settanta, scambiandosi spinelli e impianti audio con Francesco di Giacomo e il Banco del Mutuo Soccorso, andando in tour con Franco Battiato ai tempi di Sulle Corde Di Aries, aprendo le porte di casa sua, a Suisio nel bergamasco, ad alcune tra le menti più libere e belle della musica italiana di quei giorni, dagli Area alla Premiata Forneria Marconi.  E poi c’è un prima, era Beat e dintorni, ed un dopo, che entra ed esce (soprattutto esce) dalla musica attiva. Sino all’oggi, con un Colleoni di poco ultrasettantenne, di nuovo dietro ad una tastiera.



Una vita certamente unica ed irripetibile, questa di Titta Colleoni, ma paradigmatica delle ultime 6 decadi che hanno cambiato il nostro Paese, e non solo quello. E che 03, anch’egli artista non allineato, scrittore, poeta e songwriter raffinato e sensibile, prova a raccontare senza frapporre ostacoli letterari al free flow della narrazione di Colleoni.

“Me lo presentò Jean Luc Stote di Radio Onda d’Urto che conduce con Tutta il programma Casa Titta – ci racconta Ducoli – Nello stesso contesto c’era anche Paolo Gazzina che mi ha “obbligato” a scrivergli una biografia. Non Farti Cadere Le Braccia è uno dei miei album più amati di sempre e non ho potuto dire di no, anzi l’ho vista come una meravigliosa occasione”. 



Una vita rock and roll che Ducoli restituisce in pagina annullandosi come autore parlante, all’interno di una scrittura che lascia a Colleoni il racconto in presa diretta. Un lungo monologo sistematizzato e riordinato da Ducoli, che conserva però tutta la palpitante immediatezza di una chiacchierata a cuore aperto e senza censure, dove ricordi, passioni, sentimenti e invettive (povera Dori Ghezzi, che trattamento le viene riservato dal Titta) si sovrappongono inevitabilmente.

Dalla ingenuità ottimista dei giorni Beat alla presa di coscienza, lisergica e politica, tra Amsterdam e Re Nudo, alla dissoluzione nelle droghe sintetiche e autodistruttive degli anni Ottanta e Novanta, il percorso umano ed artistico di Titta Colleoni riflette derive ed ubriacature collettive, sempre sorretto, tuttavia, da una intima adesione all’armonia universale della musica. Suonata o ascoltata, comunque vissuta sino alle emozioni più intimamente violente.

“Ho chiesto a Titta di trasferirsi da me nei fine settimana – prosegue Ducoli – ed è cominciata una vera e propria Odissea: TItta ha abitudini degne di un Pogues e sono riuscito a farmi raccontare la storia tra una baldoria e l’altra. Comunque sono stati sei mesi di colloqui intensi, anche durante i bagordi. Ovviamente la musica era il motore di tutto, ma devo dire che ad appassionarmi in maniera assoluta sono state anche tutte le avventure più o meno extramusicali, soprattutto il commovente periodo libico. Ho evitato di metterla troppo sul sentimentale per evitare il rischio di uso strumentale delle emozioni, ma i suoi racconti e la sua commozione durante quei racconti hanno commosso anche me. 

Un libro agile, frenetico nella progressione serrata di esperienze tutte vissute al limite, che restituisce grandezza ad una figura leggendaria, ad oggi tuttavia costretta nel ristretto della scena musicale bergamasca ed incarnata in poche e rare registrazioni della sua band, Perdio, ancora oggi tra le esperienze più attuali di una stagione, gli anni Settanta, ricchissima di progettualità e talenti. More a legend than a band, con 7 Bicchieri Quasi Uguali (Latakia Edizioni, distribuito da IRD), Ducoli ne espande i confini di risonanza.

Al libro è abbinato In The Garden Of Eden, album antologico che recupera suite strumentali di Colleoni, scritte e registrate negli ultimi anni ed una intensa rilettura di Lulu, preziosa poesia musicata di Alessandro Ducoli, nella quale finalmente possiamo ascoltare la voce del Titta.

“La cosa meravigliosa di Titta – conclude Ducoli –  è che combina un sacco di guai con una naturalezza disarmante e con una capacità di risolverli, o di farsi aiutare a risolverli, che ha dell’incredibile. Il Titta è un animale selvatico, incatturabile, affascinante. Oggi sta riprendendo a suonare nonostante i danni alla mano (le Viti richiamate nel sottotitolo del volume, ndr) e credo che, finita sta schifezza di malattia, gli produrrò un album tutto suo di canzoni. Lo dico sottovoce, ho in mente un lavoro alla My Sueno di Ferrer, ma sono cose da valutare. Titta non è la persona più gestibile del circondario”.