Qualche tempo fa ho assecondato lo sguardo in primo piano di Rossana Rossanda nella foto di copertina del suo La ragazza del secolo scorso (Einaudi, 2005) e mi sono lasciato fissare. Il libro non l’avevo letto e dando seguito ad un misterioso cenno l’ho preso in mano, con un colpevole ritardo di diciotto anni. Ho amato Rossana fin dalle prime pagine. È un libro che va letto: a me ha detto tante cose di questa donna straordinaria che ha attraversato gli anni della Resistenza, della ricostruzione, delle battaglie sindacali, dei ritrovi di partito negli scantinati e poi sui banchi del Consiglio comunale fino a quelli del Parlamento. Una ragazza audace e a volte impertinente, che non fa sconti, che non sta al suo posto, che alza la voce, ma che sa negoziare, che con intelligenza acuta e cultura profonda dialoga e interagisce con tutti e di tutto. Fiera, ribelle, appassionata, mai doma – fino a scorticarsi – rincorrendo la verità e aggredendo il vero, facendolo “saltare fuori”, senza mai sconti o compromessi. Tutta accoratamente consumata per quella fiamma politica che, oggi, sembra o sbiadita o inverosimile.
Del più importante e imponente partito comunista occidentale è stata la responsabile della cultura (tema su cui si riponeva la massima attenzione: il pensiero gramsciano la considerava essenziale), era in rapporto diretto con Togliatti e dialogava disinibita con Vittorini, Calvino, Althusser, Simone de Beauvoir, Pasolini, De Chirico, Sartre. Non ha finto di non vedere (come troppi altri compagni) l’insubordinazione ungherese all’asfissiante dominio sovietico a Budapest nel ’54, ma in quel frangente ha vinto la devozione incondizionata al partito (che assomiglia al perdono concesso dolorosamente al primo tradimento), ma quando nel ’68, prima gli studenti e poi gli operai in quell’autunno caldo, occupano università e fabbriche e ancor più coi fatti di Praga, dinnanzi al silenzio gelido dei compagni, sconcertata come non mai dall’indifferenza e dalla deferenza sommessa agli ordini del Partito, Rossana non ha girato la testa dall’altra parte.
Non ha taciuto, non ha obbedito muta alle indicazioni e non ha chinato il capo. Ha alzato la voce e ha detto: non è vero. E si è fatta sbattere fuori dal partito (che per le persone di quel tempo era tutto). Cosa ti ha reso così meravigliosamente capace di reagire? Quando tutti, tutti quelli con cui hai vissuto, combattuto, quelli che ami, quelli che come te credono e danno la vita per un’evidenza imponente vanno in una precisa direzione, quando un fiume compatto di amici va senza esitare di là, cosa ti ha spinto a fermarti da quell’incedere sicuro, voltarti e dire: io no?
“È senza senso vivere come si vive: più deprivati di potere che mai sul nostro destino, smarriti di fronte a noi stessi. Si patisce e si subisce. Tre quarti della teoria del post-moderno, la fine delle grandi narrazioni, l’effimero, è un tentativo di svicolare alla perdita di senso. Maldestro. Certo, non tutti accettano il tragico dibattersi degli uomini per qualcosa che va al di sopra di loro. Io ho avuto una formazione diversa, ero abituata a pensare che la vita è tragica nel senso cinquecentesco della parola – Racine, Pascal – dove il conflitto non si aggiusta, non si risolve, non c’è pacificazione”.
In ogni momento della storia ci sono voci che sbraitando ottengono e impongono il consenso indiscusso (oggi forse con sistemi sofisticati e tecnologie più sottilmente pervasive) e poi ci sono minuscoli, quasi impercettibili puntini nel vento degli eventi che si innalzano insubordinati e scalfiscono tremendamente la boria del potere. Si ergono perché tutta l’oppressiva cappa dominante non è riuscita a sopprimere un pensiero critico, un pensiero capace di osservare e riflettere, un pensiero che si interroga, un pensiero che non si ferma. La cultura ancora adesso troppo relegata a pochi deve essere – soprattutto oggi – cultura dei molti, fin dalla scuola capace di costruire con cura e poi attrezzare il soggetto ad aver fede nella propria capacità riflessiva, in grado di intendere e di affermare personalmente la verità.
Il Novecento ha un firmamento di donne incantevoli da questo punto di vista che hanno tantissimo da dirci e da insegnare. Non conoscerle e non amarle è un vero delitto.
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